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BOLLETTINO
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SOCIETÀ DEI NATURATETI
I3V NAPOLI
VOLUME LXXIX - 1970
JUL 23 1971
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SOCIETÀ DEI NATURALISTI IN NAPOLI Via Mezzocannone, 8
NORME PER LA STAMPA DI NOTE NEL BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ
Art. 1. — La stampa delle note è subordinata all’approvazione da parte del Comitato di Redazione che è costituito dal Presidente del Consiglio direttivo, dai quattro Consiglieri e dal Redattore delle Pubblicazioni. Il Comitato di Redazione qualora lo giudichi neces¬ sario ha facoltà di chiedere il parere consultivo di altri, anche non soci.
Art. 2. — I testi delle note devono essere consegnati, dattiloscritti al Redattore nella stessa Tornata o Assemblea in cui vengono comunicati. Solo per gli allegati (figure, carte, tavole, ecc.) è consentita la deroga dalla presente disposizione, ma fino ad un mese dalla data di presentazione della nota. Trascorso tale periodo s’intende scaduto il diritto per la stampa e la nota deve essere ripresentata in altra Tornata o Assemblea.
Art. 3. — Ogni anno i soci hanno diritto a 1G pagine di stampa, gratuite, o al loro equivalente, oltre a 50 estratti senza copertina. Tale diritto non è cedibile nè cumulabile.
Art. 4. — Con le prime bozze, la Tipografia invierà al Redattore il preventivo di spesa per la scampa nel Bollettino e per gli estratti, questi lo comunicherà all’Autore per la parte di spesa che lo riguarda.
Art. 5. — L’Autore restituirà con le prime bozze, gli originali ed il preventivo di spesa per la stampa, sottoscritto per conferma ed accettazione, indicando il numero di estratti a pagamento desiderati, l’indirizzo a cui dovrà essere fatta la spedizione e l’intesta¬ zione della fattura relativa alle spese di stampa del periodico e degli estratti. Nel caso che l’ordine provenga da un Istituto Universitario o da altro Ente, l’ordine deve essere sottoscritto dal Direttore.
Art. 6. — Modifiche ed aggiunte apportate agli originali nel corso della correzione delle bozze (correzione d’Autore), comportano un aggravio di spesa, specialmente quando richiedono la ricomposizione di lunghi tratti del testo o spostamenti nell’impaginazione. Tali spese saranno addebitate all’Autore.
Art. 7. — Le bozze devono essere restituite al Redattore en::o 15 giorni. Il ritardo comporta lo spostamento della nota relativa nell’ordine di stampa sul Bollettino; per questo motivo la numerazione delle pagine sarà provvisoria anche nelle ultime bozze e quella definitiva sarà apposta su esse a cura e sotto la responsabilità della Tipografia.
Art. 8. — A cura del Redattore, in calce ad ogni lavoro sarà indicata: la data di consegna effettiva del dattiloscritto e la data di restituzione delle ultime bozze.
Art. 9. — Al fine di facilitare il computo della estensione della composizione tipo¬ grafica dei lavori è necessario che il testo venga presentato dattiloscritto in cartelle di 25 righe, ciascuna con 60 battute.
Art. 10. — L’Autore indicherà in calce al dattiloscritto l’Istituto o TEnte presso cui il lavoro è stato compiuto e l’eventuale Ente finanziatore della stampa e delle ricerche.
Art. 11. — Le note saranno accompagnate da due riassunti, da cui si possa ricavare chiaramente la parte sostanziale del lavoro. Uno dei due riassunti sarà in italiano e l’altro preferibilmente in inglese.
Art. 12. — Vengono ammesse alla pubblicazione sul Bollettino anche Note di Autori non soci, purché presentate da due soci e preventivamente sottoposte per l’approvazicne al Comitato di Redazione. La stampa di tali Note sarà a totale carico degli Autori.
Art. 13. — I caratteri disponibili per la stampa sono i seguenti: maiuscolo ~ ■ : ~
maiuscoletto — . , corsivo - , tondo; in corpo 10 e corpo 8. L’Autore potrà
avanzare proposte mediante le sottolineature convenzionali prima riportate. La scelta defi¬ nitiva dei caratteri è di competenza del Redattore.
Art. 14. — Nel dattiloscritto, si raccomanda di indicare con doppia sottolineatura (maiuscoletto) i nomi degli Autori e con la sottolineatura semplice (corsivo) i titoli dei lavori nella bibliografia, i nomi scientifici latini ed i termini stranieri.
Art. 15. — Le illustrazioni che corredano il testo saranno accompagnate da brevi esaurienti didascalie nelle stesse lingue dei riassunti.
BOLLETTINO
BELILA
SOCIETÀ DEI NATURALISTI
IN NAPOLI
VOLUME LXXIX - 1970
SOCIETÀ DEI NATURALISTI IN NAPOLI Via Mezzocannone, 8 1971
CONSIGLIO DIRETTIVO
TRIENNIO 1969 - 72
Prof. Arturo Palombi Prof. Bruno D’Argenio Prof. Tullio Pescatore Prof. Angiola Maria Maccagno Prof. Antonio Scherillo Prof. Aldo Napoletano Prof. Pietro Battaglini
- Presidente
- Vice Presidente
- Segretario
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
REDATTORE
Prof. Antonio Vallario
Hanno contribuito alla stampa di questo volume :
la Presidenza del Consiglio dei Ministri il Ministero della Pubblica Istruzione il Consiglio Nazionale delle Ricerche P Università begli Studi di Napoli il Banco di Napoli la Società Meridionale Finanziaria P A.G.I.P, Mineraria.
Boll, Soc. Natur. in Napoli voi. 79, 1970, pp. 3-6.
CARPENT TUA POMA NEPOTES (Virgilio)
Prospettive di ricerche biologiche e chimiche su alcuni animali marini delle classi degli Idrozoi e dei Trematodi
Nota del socio ARTURO PALOMBI
(Tornata del 30 gennaio 1970)
Nel 1933, esaminando le Tapes decussatus provenienti dal Lago Fusaro, rinvenni, aderente al piede, al mantello ed alle branchie, L Idro- zoo che chiamai Eugymnanthea inquilina [ Eu = bene, gumnòs = nudo, ànthos = fiore, cioè fiore (polipo) ben nudo] per richiamare Tattenzione sulla caratteristica più saliente del polipo completamente nudo, cioè privo del perisarco.
In altri Molluschi Lamellibranchi ( Mytilus , Cardium , Ostrea , Crassostrea) questo idrozoo fu rinvenuto da me e da altri ricercatori (Cerruti, Mattox, Crowell, Yamada) a Napoli, a Taranto, nel Portorico, nel Giappone e descritto con nomi generici diversi : Mytilhy- dra , Ostreohydra , tutti passati in sinonimia con Eugymnanthea.
L’importanza di questo rinvenimento che richiamò l’attenzione di molti studiosi sta nel fatto che il polipo è nudo e, come tale, dovrebbe dare origine ad antomeduse, cioè a meduse con le gonadi situate lungo il manubrio, mentre invece forma meduse o medusoidi che posseggono le gonadi lungo i canali radiali come le leptomeduse che normalmente derivano da polipi tecati.
La scomparsa dell’idroteca, e pertanto l’inversione osservata, proba¬ bilmente è stata determinata dal peculiare habitat della specie che, come dice il nome, è inquilina dei Molluschi Lamellibranchi sopra menzionati e forse di altri molluschi ancora.
Sarebbe perciò del massimo interesse seguire lo sviluppo sperimen¬ tale delle uova in ambiente libero e non in relazione agli organi interni dei molluschi lamellibranchi come normalmente si riscontra. Rappre-
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senta certamente un suggestivo richiamo, per i giovani che si accingono a scrutare i misteri della natura, conoscere l’embriologia di questa carat¬ teristica ed interessante specie per assodare se la scomparsa del peri- sarco sia un carattere nuovo, stabilmente acquisito e pertanto trasmesso nei discendenti oppure sia un carattere contingente in relazione all’ec¬ cezionale habitat e quindi non stabile.
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Un altro problema degno di interesse riguarda la chimica biologica. Si tratta del secreto delle glandole cefaliche di una cercaria di Trema- tode digenetico : il Ptychogonimus megastoma.
Questo parassita vive, allo stato adulto, nello stomaco dei Selacei e, allo stato larvale, in due ospitatoli : un Mollusco Scafopodo, il Den- talium, e, successivamente, una delle numerose specie di Crostacei Bra- chiuri. Le uova del Trematode, emesse dall’adulto, escono con le feci dall’intestino del Selaceo e si diffondono sul fondo fangoso. La larva che sguscia (miracidio) penetra nel Dentalium che vive appunto infos¬ sato nel fango e col piede fruga alla ricerca del nutrimento. Se dunque il Dentalium si imbatte nel miracidio, questo penetra in esso e, nelle gonadi, si sviluppa in sporociste a forma di filamento allungato conte¬ nente nell’interno le cercarie. I filamenti, allorché le cercarie si sono sviluppate, escono dal Dentalium che con la conchiglia affiora sul fondo e si spargono all’intorno. I Crostacei brachiuri che vivono appunto in tale ambiente, sono lesti ad ingerire tali carnosi filamenti dai quali escono, una volta giunti nell’intestino del Crostaceo, le cercarie conte¬ nute nell’interno. Queste, col secreto delle glandole cefaliche, forano la parete intestinale e penetrano nella cavità interna. È così attivo il secreto di queste glandole che le cellule costituenti la parete dell’inte¬ stino ne vengono disciolte. L’istolisi è necessaria per consentire alle cercarie di penetrare nel Crostaceo per raggiungere l’ospitatore defini¬ tivo. L’attesa, più o meno lunga, è in relazione alla muta del Crostaceo che non può essere ingerito dal Selaceo se provvisto del duro derma- scheletro.
Il problema di ordine chimico-biologico che si pone è quello di conoscere innanzi tutto la costituzione chimica del secreto e, connesso con questa, come esso agisce, cioè quali principi attivi intervengono nel determinare l’istolisi delle cellule.
Poiché sperimentalmente è facile ottenere metacercarie di Ptycho- gonimus megastoma facendo ingerire le sporocisti contenenti le cercarie ad uno dei tanti Crostacei brachiuri (in tali Crostacei io realizzai un centinaio di infezioni in ben 28 specie differenti) si potrebbe affrontare il suggestivo problema della progenesi.
In ogni organismo, l’adulto, a conclusione del suo ciclo evolutivo, acquista la maturità sessuale e produce le uova le quali iniziano il nuovo ciclo. Ora è noto che in alcuni Trematodi le metacercarie con¬ tengono uova. Sarà possibile, nelle metacercarie di Ptychogonimus , otte¬ nere sperimentalmente questa produzione?
Addito agli studiosi questa ricerca che va vagliata e sperimental¬ mente verificata. È superfluo aggiungere che, durante l’esecuzione, in relazione ai risultati raggiunti, dovranno essere adeguatamente ed oppor¬ tunamente variate le condizioni sperimentali in vista delle ulteriori investigazioni. Si potrebbero, p. es., scegliere tra i Crostacei Brachiuri quelle specie di più grossa mole come Maja ed Eriphia ; si potrebbe limi¬ tare nel Crostaceo il numero delle metacercarie affinchè esse dispongano di più abbondante nutrimento ; si potrebbe fornire ad esse, sempre nel¬ l’interno del Crostaceo, un nutrimento che non si discosti molto da quello che le metacercarie trovano nello stomaco del Selaceo.
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Un altro importante problema che travaglia coloro che si occupano dello studio delle cercarie marine è il riconoscimento della specificità di tali forme larvali.
È noto che scarsi sono i caratteri che consentono la distinzione delle cercarie le quali, soltanto in seguito alla loro evoluzione in adulto, possono essere con esattezza definite. Tuttavia, anche in questo caso, sorge il dubbio che possano trovarsi mescolate cercarie diverse, ma indi¬ stinguibili, con ciclo evolutivo identico, che però danno adulti diffe¬ renti, sia pure poco dissimili tra loro.
Le curve di frequenza bimodali appoggerebbero tale idea perchè esse attestano che le popolazioni di tali forme larvali e adulte non sono omogenee perchè costituite di individui con sviluppo cronologicamente diverso.
Pertanto, solo metodi nuovi di indagine potrebbero risolvere il complesso problema. Molti anni addietro, io tentai di derimere la que-
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stione sulla specificità delle cercarie indagando sul numero dei cromo¬ somi. Non raggiunsi risultati apprezzabili, ma quello che a me non fu possibile, io lo auguro a coloro che di questo argomento si occuperanno per soddisfazione loro e per il progresso della Scienza.
BIBLIOGRAFIA
Cerruti A., 1941 - Mytilhydra polimantii n. g. n. sp. idroide vivente sul mantello dei Mitili. Riv. di BioL, Voi. 32, p. I.
Crowell S., 1957 - Eugymanthea, a commensal hydroid living in pelecypod. Pubbl. Staz. Zool. Napoli, Voi. 30, p. 162.
Mattox N. T. & Crowell S., 1951 - A new commensal hydroid of thè mantle cavity of an oyster. Biol. Bull., Voi. 101, p. 162.
Palombi A., 1935 - Eugymnanthea inquilino nuova leptomedusa derivante da un atecato idroide ospite interno di Tapes decussatus , L. Pubbl. Staz. Zool. Napoli, Voi. 15, p. 159.
Palombi A., 1937 - Il ciclo biologico di Lepocreadium album Stossich sperimen¬ talmente realizzato. Riv. di Parassit., Voi. 1, p. 1.
Palombi A., 1942 - Il ciclo biologico di Ptychogonimus megastoma (Rud.). Osser¬ vazioni sulla morfologia delle forme larvali e considerazioni filogenetiche. Ibid., Voi. VI, p. 117.
Yamada M., 1950 - An epizoic athecate hydroid attached to thè oyster body. Annot. Zool. Japon., Voi. 23, p. 117.
Boll , Soc, Natur. in Napoli voi. 79, 1970 , pp. 7-14 , 5 figg .
Osservazioni sullo sfintere marginale di alcune Attinie (Celenterati Antozol)
Nota del Socio BEATRICE TORELLI
(Tornata del 27 febbraio 1970)
Riassunto. — (//?., stimolando in misura diversa vari esemplari di Bunodactis verrucosa Pennant al fine di studiare le modificazioni dello sfintere marginale col cambiare della intensità dello stimolo, ha potuto constatare che le varie forme del muscolo cioè : diffuso, circoscritto e diffuso-circoscritto, sono dovute unicamente al diverso grado di contrattilità che si è determinato.
Pertanto non ha alcun significato la distinzione, generalmente usata, per le varie forme di sfintere.
Summary. — The A., stimulating in different measure some Bunodactis verru¬ cosa Pennant specimens so as to study thè modifications of thè marginai sphincter according to thè variation of their shrinkage, has been able to prove that thè diffe¬ rent forms of thè muscle i.e, diffuse, circumscript and diffuse-circumscript are due to thè different degree of thè shringkage which has occured. Therefore no meaning has thè distinction which thè Aa. use for thè different forms of thè sphincter.
Introduzione»
È cosa nota che, nella maggioranza dele Attinie, a breve distanza dal margine superiore della colonna, è situato un muscolo il cui compito è quello di restringere l’orlo superiore del corpo sacciforme al di sopra del disco boccale e tentacoli che si sono invaginati. Si tratta dello sfintere marginale che, evidentemente, ha uno scopo protettivo.
Le fibre muscolari possono essere completamente incluse nella me- soglea, o poste in cavità che si sono formate nello spessore dela mesoglea stessa e allora lo sfintere è detto mesogleale.
In altri casi lo sfintere è detto endodermale quando si forma tra mesoglea e endoderma. Un esempio di quest’ultimo caso è fornito dalla Bunodactis verrucosa Pennant ed è argomento della presente nota.
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— 8 —
Le fibre muscolari circolari di tutta la colonna sono appoggiate su brevi propaggini della mesoglea dirette verso Fendoderma. Nel tratto dello sfintere tali propaggini si fanno più lunghe e in tal modo aumenta il numero delle fibre muscolari. (Fig. 1).
Fig. 1. — Sfintere marginale di una Bunodactis verrucosa Pennant che è stata ben anestetizzata, x 100.
Già nel 1871 Schneider, riferendo sulle indagini fatte in colla¬ borazione con Ròtteken, descrisse un muscolo anulare di alcune Attinie situato sotto il peristoma, completamente incluso nella parete del corpo, e lo definisce « muscolo anulare diffuso », mentre in altre specie esiste un muscolo anulare in forma di cercine sporgente nella cavità del corpo.
Dopo questo primo breve cenno di Schneider, tutti gli AA. (Hertwxg 1879; Mac Murrich 1905; Pax 1915; Stephenson 1921, 1922, 1928, ecc. ecc.) hanno accettato la distinzione tra le due forme di sfintere che vengono dette Funa a sfintere diffuso », l’altra « sfintere circoscritto » e tale nomenclatura è in uso ancora oggi.
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Ma fra le due forme di muscolo, cioè quello decisamente circo- scritto e quello decisamente diffuso che rappresentano i due casi estremi, esiste tutta una serie di forme intermedie che gli A A. indicano come sfintere « diff uso-circoscritto », senza però poter fare una qualsiasi di¬ stinzione tra esse. Con ciò è implicitamente ammesso la grande varia¬ bilità del muscolo anche in animali della stessa specie (Stephenson 1921, 1922). Per tale ragione mi sembra che si possa definitivamente abbandonare l’ipotesi espressa da Hertwig (1879) e da Pax (1914) che cioè la forma dello sfintere possa essere determinante nella sistematica delle Attinie.
Per verificare queste condizioni e nella ricerca dei caratteri utili alla sistematica, si è iniziata la presente indagine.
Materiale di studio e metodi di ricerca.
Le osservazioni sono state condotte su Bunodactis verrucosa Pen- nant. Gli esemplari che si sono usati provengono tutti dalla discendenza (2a, 3a e 4a generazione) di un unico esemplare che i marinai della Stazione Zoologica di Napoli portarono in Istituto nel luglio del 1961 e si può essere quindi sicuri che gli animali appartengono alla stessa specie e varietà (rammento ancora che questa Bunodactis è ermafrodita auto-sufficiente). Non è stato più possibile avere da mare altri individui della stessa specie.
Nel lago di Fusaro sono stati successivamente raccolti altri esem¬ plari che, con molta probabilità, sono una varietà di B. verrucosa.
Gli individui su cui principalmente sono state condotte le ricerche, provengono quindi da un allevamento. Era perciò venuto il sospetto che, essendo vissuti in acqua ferma, si fosse potuto determinare una alterazione nella muscolatura. Sospetto, in verità, eccessivo perchè il paragone dello sfintere marginale di uno di tali animali con quello di una Bunodactis appena raccolta a Fusaro, mostrava chiaramente che lo sfintere marginale è, in ogni caso, debole. Tuttavia poiché la varietà di Fusaro è diversa da quella pescata a Posillipo, si è voluto indagare su questo punto e si è pensato di creare, per alcuni degli animali tenuti in allevamento, condizioni più simili alle naturali per quanto possibile. In questo intento un tecnico della Stazione Zoologica (1) ha approntato
(1) Il Signor Esperti che qui ringrazio vivamente.
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un dispositivo mediante il quale si può mantenere l’acqua in movimento mediante apposite palette che vi ruotano dentro. Regolando le dimensioni delle palette e l’ampiezza dei recipienti in cui sono posti gli animali, si poteva avere un movimento più o meno forte dell’acqua. La durata del trattamento ha variato da 2 a 8 mesi.
Per maggiore chiarimento di quanto è stato detto e di quanto si dirà, aggiungo che gli animali tenuti in allevamento si sono fatti ade¬ rire a pietre o a conchiglie per cui è agevole il trasporto da un reci¬ piente all’altro.
Un secondo esperimento è stato condotto per rendersi conto se, stimolando frequentemente gli animali in modo da mantenere a lungo uno stato di contrazione del disco boccale, ne derivasse un maggiore sviluppo dello sfintere. A questo scopo gli esemplari furono posti in una vasca contenente 10 litri di acqua di mare e sottoposti a scosse elettriche di 4, 5 e 8 volt, due o tre volte al giorno secondo le loro reazioni.
Gli animali nei primi 2 o 3 giorni sopportarono meglio le scosse nel senso che lo stato di contrazione non durava a lungo e, anche in meno di un’ora, ritornavano a distendersi. Ma, ad esperimento inoltrato, si mantenevano quasi costantemente contratti e raramente, forse durante la notte, si distendevano alquanto.
Il trattamento di cui sopra è stato fatto ad animali adulti ed è durato 19, 35 e 53 giorni. Solo uno degli esemplari ha sopportato le scosse di 8 volt.
Gli individui, tanto del primo che del secondo esperimento, veni¬ vano successivamente anestetizzati con cloruro di magnesio e fissati con Bouin o formol neutro 10% per essere inclusi in paraffina e sezionati. È stata ancora eseguita una fissazione in formol neutro 10%, senza previa anestesia e determinando una contrazione più rapida e brusca perchè, mentre si versava il formol nel cristallizzatore in cui era stato posto l’animale, si fecero scattare 3 o 4 flash di quelli usati in foto¬ grafia.
Inoltre si è provveduto a fissare animali :
1°) preventivamente anestetizzati con cloruro di magnesio in soluzione acquosa 7,5% che veniva versata con molta lentezza nel cri¬ stallizzatore in cui era l’animale (50 cc. di soluzione per 100 cc. di acqua di mare). Il tempo necessario per effettuare l’anestesia era di 10-12 ore e si prolungava per 18-24 ore.
Se nel corso dell’operazione si vedeva l’animale contrarsi, bisognava
— 11 —
rinnovare l’acqua, aspettare un paio di giorni e ricominciare il pro¬ cedimento ;
2°) fissando senza previa anestesia, cioè buttando gli animali in Bouin, a volte tenuto freddo a 4°C.
Normale inclusione in paraffina.
Per l’osservazione dello sfintere le sezioni a microtomo vanno ese¬ guite in senso sagittale.
Colorazioni :
triplice colorazione con emallume, eosina-orange, acido fosfo- tungstico, verde luce ; ematossilina Delafield - eosina ;
colorazione di Mann : blu di metile, eosina (metodo lento, ( Lan¬ ce ron 1949);
metodo Ignesti (Beccari e Mazzi 1966 p. 209).
Risultati.
I risultati più significativi si sono avuti dall’osservazione dei pre¬ parati microscopici allestiti con gli ultimi due metodi sopra indicati. In particolare è riuscito utile il confronto dei preparati ottenuti do¬ po aver eseguito una buona anestesia, con quelli avuti dopo aver deter¬ minato una brusca contrazione.
Tutti gli altri trattamenti non hanno provocato effetti degni di ri¬ lievo ; si è solo notato che gli animali, resi più sensibili dagli eccita¬ menti a cui erano stati sottoposti, avevano una più facile reattività e avvertivano anche piccole quantità di cloruro per cui facilmente si contraevano. Ne è risultato sempre uno sfintere in forma circoscritta anche se l’apparenza dell’intero animale avrebbe fatto giudicare una buona anestesia. In ogni caso le dimensioni del muscolo erano sempre normali.
In Bunodactis lo sfintere è relativamente debole. Più frequente¬ mente appare nella forma circoscritta, ma, asserisce Stephenson (1921, 1922) esso presenta tutte le gradazioni sia di sviluppo che di forma e le variazioni si possono verificare anche nella stessa specie. Io aggiungo che si possono verificare anche in punti diversi dello stesso esemplare. Chi ha pratica di tali animali si rende perfettamente conto di tale circostanza perchè si tratta di forme che hanno generalmente una rapida reazione che può riuscire disordinata quando è molto bru¬ sca. Perciò non sempre si riesce a vedere nei preparati il muscolo di-
— 12 —
steso ; per lo più appare decisamente circoscritto o, meno frequente¬ mente, nella forma dif fuso-circoscritto.
Le fig. 1 e 2 sono la riproduzione dì fotografie eseguite a diversi ingrandimenti, di un muscolo che assume la forma decisamente dif¬ fusa. Segno di un’ottima anestesia.
Fig. 2. — Lo stesso a maggiore ingrandimento, x 260.
Le fig. 3 e 4 riproducono lo sfintere di un animale della stessa specie (avuto nello stesso allevamento del precedente esemplare), ma che è stato fissato senza aver praticato alcuna anestesia (1). Le due foto¬ grafie sono state scattate in due sezioni dello stesso preparato, mentre sembrerebbero due muscoli di sviluppo diverso e perciò appartenere a due differenti animali.
Infine la fot. 5 è l’immagine dello sfintere di un individuo che è stato sottoposto a 24 scosse di 4 volt in 19 giorni. L’anestesia, in que¬ sto caso non ha sortito gli effetti desiderati e lo sfintere appare circo™
(1) Si noti che quando l’animale è fortemente contratto lo spessore della parete è più che doppio di quello della parete a muscolatura rilasciata.
— 13
scritto. Lo stesso si è avuto con un individuo che ha subito 52 scosse in 53 giorni.
DalFesame dei preparati si può quindi concludere che in realtà
Fig. 3. — Sfintere marginale di una Bunodactis verrucosa che non ha subito anestesia, x 100.
Fig. 4. — Il medesimo sfintere fotografato in altro punto del preparato, x 100.
tutte le diverse forme di sfintere dipendono esclusivamente dal grado di contrazione dell’animale .
— 14 —
Non ha perciò significato la distinzione fatta fin ora di sfintere diffuso o circoscritto e nessuna indicazione fornisce la forma del mu¬ scolo ai fini della sistematica. Nè lo sviluppo che esso assume può riu¬ scire utile al tassonomista, anzitutto perchè lo sviluppo del muscolo
Fig. 5. — Sfintere di una B. verrucosa che ha subito 24 scosse, x 100.
può variare in individui della stessa specie, ma inoltre questo non è mai un carattere nettamente definito presentando una gamma conti¬ nua di valori.
BIBLIOGRAFIA
Beccari N. & Mazzi V., 1966 - Manuale di tecnica microscopica. Soc. Ed. Libraria. Carlgren 0., 1934 - Zur Revision der Actiniarien. Ark. Zool. 26. n. 18 pp. 1-36. Hertwig 0. & R., 1879 - Die Actinien. Jena.
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Pax F., 1914 - Die Actinien. Erg. Fortsch. Zool. 4; 339-642.
Schneider A., 1871 - On thè structure of thè Actiniae and Corals. Ann. Mag. Nat. Hist. 7; 437-441.
Stephenson T., 1921 - The classification of Actiniaria. Part. III. Quart. J. Micr. Se. 65; 493-576.
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Boll. Soc. Natur. in Napoli voi. 79, 1970, pp. 15-24 , 5 figg.
Effetti del 6-idr@ssi-2A^rtriamln©pinmidina su! metabolismo della i$©xasit®ptenna io Drosophila melanogaster
Nota del Dr. GIOVANNI PARISI presentata dai Soci P. BATTAGLINI e A. PIERANTONI
(Tornata del 27 febbraio 1970)
Riassunto. — L'Autore descrive gli effetti determinati dal 6-idrossi-2,4,5-triami- nopirimidina solfato sulla biosintesi della isoxantopterina nei maschi di Drosophila melanogaster (Oregon),
Utilizzando tecniche cromatografiche, spettrofluorimetriche e spettrofotometri¬ che, è stato evidenziato un notevole incremento della isoxantopterina e corrispon¬ dentemente delle drosopterine nei corpi e negli occhi. Si discute la possibilità di una intercon versione della isoxantopterina in drosopterine.
Abstract. — The effects of 6-hydroxy-2 ,4 ,5-triaminopyrimidine sulfate on isoxanthopterin biosynthesis is described in thè males of Drosophila melanogaster (wild strain). By means of chromatographic, spectrofluorometric and spectrophoto- metric investigations has been observed a remarkable increase of isoxanthopterin and a comparable augmentation of drosopterins both in thè eyes and in thè bo- dies of thè flies. The possibility of a conversion of isoxanthopterin to drosopterins is discussed.
Da tempo numerosi ricercatori si interessano allo studio del meta¬ bolismo dei pigmenti pterinici a causa dell’importante ruolo di questa classe di composti chimici. Dall’esame della vasta letteratura a disposi¬ zione, ci hanno in particolar modo interessato, gli studi condotti con una pirimidina di sintesi e precisamente la 6-idrossi-2,4,5-triaminopiri- midina. C. M. Baugh e E. Shaw (1) hanno mostrato come questa so¬ stanza possa essere utilizzata da Corinebacterium sp. nella biosintesi del¬ l’anello pterinico, K. W. Kidder e V. C. Dewey (2) hanno potuto di¬ mostrare inoltre la sua utilizzazione in Tetrahymena pyriformis W nella
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sintesi dell’acido folico ed infine W. S. McNutt (3) nella biosintesi della ribof lavina.
Poiché da tempo ci interessiamo allo studio del metabolismo dei pigmenti pterinici in Drosophila Melanogaster (4,5), ci è sembrato in¬ teressante verificare se la 6-idrossi-2,4,5-triaminopirimidina potesse es¬ sere inserita, da tale dittero, nel pool metabolico dei suoi pigmenti pterinici.
Si è così potuto accertare, come è riportato nella parte sperimen¬ tale, che ciò è possibile e che tale sostanza viene metabolizzata ad isoxan- topterina. Tali esperimenti ci hanno permesso inoltre in conseguenza di un aumentato tenore nelle drosopterine riscontrato negli ommatidi, di dimostrare, come sarà meglio illustrato più avanti, una stretta inte- relazione tra questo gruppo di sostanze e la isoxantopterina.
Parte Sperimentale
Esemplari di Drosophila melanogaster ( ceppo Oregon R) sono stati fatti sviluppare su un terreno di coltura descritto da E. C. Keller e E. Glassman (6) (Controlli) e su un analogo terreno in cui era stato aggiunto in ragione dello 0,08% 6-idrossi-2,4,5-triaminopirimidi- na solfato (Trattati).
Si raccolsero le drosophile emerse tra il 1-2; 3-4; 5-6; 9-10 giorno sia controlli che trattati, si bollirono per 1’ in acqua distillata, si di¬ stinsero per sesso e furono divise le teste dai corpi per decapitazione.
Gruppi di 20 corpi di maschi della stessa età furono omogeniz- zati in un mi di acqua distillata, quindi 50 microlitri di estratto ven¬ nero posti su carta Whatman N° 1 e cromatografati ascensionalmente per circa otto ore in cloruro di ammonio 3% acquoso. In questo si¬ stema, l’isoxantopterina, che si trova nei corpi dei maschi, sia con¬ trolli che trattati, presenta un Rf = 0,30 + 0,01 in accordo con il prodotto di sintesi da noi preparato secondo il metodo indicato da A. Albert (7).
Le carte cromatografiche asciugate in stufa a 3 0-49° C, furono esaminate con una lampada a luce ultravioletta con massimo di emissione a 365 millimicron ed individuate così le macchie corri¬ spondenti alla isoxantopterina. Ogni macchia fu eluita in 6 mi di acqua distillata e sugli eluati, furono eseguiti gli spettri di fluoresce- za. Tali spettri risultano perfettamente corrispondenti con lo spettro
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(Ivate da cromate grafia eh omogeneità di maschio eh drosophi/o me/anogas/er
Isaxantepfenna
Fig. 1. — Confronto tra lo spettro di fuorescenza della isoxantopterina sinte¬ tica ( - ) e di quella estratta da D. m. ( . ).
di fuorescenza della isoxantopterina di sintesi mostrante un caratte¬ ristico massimo a 415 millimicron. (vedi fig. 1).
Ponendo in relazione i valori percentuali di trasmissione con l’età
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dei gruppi di animali esaminati (vedi fig. 2), si potè stabilire che la deposizione del pigmento non è costante nel tempo, ma che mentre nei controlli si ha un aumento del contenuto di isoxantopterina tra
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Fig. 2. — Confronto tra i valori di trasmissione % di fluorescenza tra Droso- phile melanogaster trattate e controlli.
il 1-2 giorno, successivamente un calo tra il 3-4, per poi nuovamente aumentare tra il 5-6, stabilizzandosi circa tra il 9-10 giorno; nei trat¬ tati si aveva, non solo lo spostamento del massimo di deposizione del pigmento ma anche un forte incremento della sua deposizione.
In un successivo esperimento furono omogenizzati separatamente
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in 2,7 mi della seguente soluzione; alcool etilico 30 mi, acqua distil¬ lata 70 mi, acido cloridrico eonc.q.b. a pH = 2 ; 20 teste di maschi, 20 teste di femmine, 20 corpi di maschi, 20 corpi di femmine, con¬ trolli e trattati.
Gli omogenati vennero centrifugati, filtrati attraverso membrana ni) dipoi e e sui risultanti estratti vennero eseguiti gli spettri U.V.
Nella fig. 3 furono riportati in grafico i valori dei massimi di as¬ sorbimento registrati alle lunghezze d’onda di 480 e 260 millimicron, per le teste ed i corpi rispettivamente, di maschi e di femmine, con¬ trolli e trattati, posti in relazione con l’età degli animali esaminati.
Risulta subito evidente ;
1) Nel caso degli estratti di corpi dì maschi trattati, i dati spet¬ trofotometrici confermano quelli spettrofluorimetrici, si registra un
massimo di assorbimento alla lunghezza d’onda di 260 millimicron per gli animali trattati dì età compresa tra il 5-6 giorno, quindi un progressivo decremento.
2) Nel caso degli estratti di corpi di femmine trattate, non si
hanno notevoli spostamenti e ciò era da attendersi dato l’esiguo
quantitativo di isoxantopterina normalmente presente.
3) Negli estratti di teste di maschi trattati, sì evidenzia un
aumento delle drosopterine, come chiaramente mostrano gli aumenti dei valori delle densità ottiche registrate a 480 millimicron, tra 3-4 ; 5-6 giorno, quindi un progressivo decremento.
4) Negli estratti di teste di femmine trattate, si osserva un
aumento più modesto rispetto a quello registrato nei maschi, limita¬ tamente al 1-2 ; 3-4 giorno, poi i valori delle densità ottiche a 480 millimicron decrescono fortemente rispetto al controllo.
Discussione dei risultati e conclusioni.
1) Il 6-idrossi-2,4,5-triaminopirimidina solfato può essere utiliz¬ zato in Drosophila melanogaster nella biosintesi della isoxantopterina.
2) Come è noto nei corpi dei maschi vi è una notevole quantità di isoxantopterina che viceversa, manca nelle femmine ; ciò dipende dal fatto che i maschi posseggono una matrice proteica specifica per la isoxantopterina su cui essa si fissa, che manca nelle femmine, pur avendo entrambi sìa i precursori che gli enzimi necessari alla sua bio¬ sintesi. Ora, l’aumento della isoxantopterina nei corpi dei maschi trat¬ tati sta a dimostrare che l’ulteriore quantità di isoxantopterina prò-
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reste toppi
— Trattati
~ ” Controlli
Fig. 3. — Rapporti tra densità ottica ed età di teste e corpi di maschi e fem¬ mine di Drosophila melanogaster, rispettivamente a "k = 480m |X e 260 m [X.
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dotta per effetto del 6-idrossi-2,4,5, triaminopirimidina solfato, trova possibilità di legarsi ad una specifica matrice proteica, per cui si è in grado di registrarne l’accumulo. Nei corpi delle femmine trattate, mancando la specifica matrice proteica, non si registra accumulo, per¬ tanto non si è in grado di dire se vi è un aumento della produzione della isoxantopterina, in quanto, come per i controlli, tale sostanza
o si elimina tal quale o si metabolizza ulteriormente.
3) Dall’esame delle figure 2 e 3 risulta chiaro che l’effetto
del 6-idrossi-2 ,4 ,5-triamino-pirimidina solfato sul metabolismo dei pig¬ menti pterinici varia nel tempo, ciò probabilmente in dipendenza del fatto che gli animali sottoposti ad esperimento, non assumono più tale sostanza con il cibo, in quanto, subito dopo lo sfarfallamento non
si nutrono più, ma utilizzano per il loro sostenziamento unicamente le sostanze di riserva presenti nell’organismo. Infatti dall’esame della fig. 4, relativo alle generazioni parentali, si vede subito che nessun effetto si evidenzia tra controlli e trattati ; in questo caso si inten¬ dono trattati, animali sfarfallati su un terreno di coltura normale e quindi posti ad invecchiare su un terreno contenente la sostanza in esame.
4) Tracciando il grafico del rapporto tra i valori di densità
ottica a X = 480 millimicron e X = 270 millimicron degli estratti di teste di maschi e di femmine, trattati e controlli, (vedi fig. 5), si vede subito che mentre nelle femmine le due curve si mantengono all’incirca simili e non si notano notevoli spostamenti, nei maschi si hanno addirittura inversioni di andamento.
5) Il diverso comportamento tra maschi e femmine trattati, alla lunghezza d’onda 480 millimicron, è in dipendenza del diverso contenuto di isoxantopterina. Già infatti in precedenti esperimenti ( 4), si era messo in evidenza il fatto che, inibendo la biosintesi della isoxan topterina, corrispondentemente si registrava una diminuzione del pig¬ mento rosso ; con l’esperimento descritto, in corrispondenza di un au¬ mentato tenore di isoxantopterina, si registra invece un aumento.
È chiaro pertanto che una quota parte del pigmento rosso venga sintetizzato tramite il riutilizzo della isoxantopterina. Nei mutanti nei quali manca l’isoxantopterina così come ma-1 ed ry il contenuto in pig¬ mento rosso è notevolmente inferiore al valore normale e corrisponde esattamente alle fenocopie ottenute inibendo in vivo la biosintesi della isoxantopterina .
6) Esperimenti condotti sui mutanti ma-1 ed ry hanno potuto dimostrare che il 6-idrossi-2,4,5-triaminopirimidina solfato non provoca
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Fig. 4. — Diagrammi illustranti la non efficacia della 6 idrossi- 2,4,5-triamino- pirimidina immessa nella pappa su Drosophile adulte.
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alcuna variazione nel contenuto dei pigmenti pterinici e ciò può essere messo in relazione con il fatto che questi mutanti non posseggono l’enzi-
?
, - ^ T fallali
— — ■<- — • — Controlli
Fig. 5. • — Grafico del rapporto dei valori di densità ottica a X- -- 480 m jj, e a X •— 270 m p, degli estratti di teste di maschi e femmine di Drosophìla.
ma xantinodeidrogenasi responsabile della trasformazione del precursore 2 • ami 110-4 -idrossipterina in isoxantopterina»
Istituto dì Biologia generale e Genetica dell’ Università di Napoli.
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BIBLIOGRAFIA
1) Albert A., Woqd H. C.S., 1953 - Pteridine Synthesis . II isoxanthopterin . J. appi. Chem., 521.
2) Baugh C. M., Shaw E., 1963 - The role of Pyrimidines in thè Biogenesis of Pteridines. Biochem. and Biophys. Res. Comm., 10, 28.
3) Boni P., de Lerma B., Parisi G., 1967 - Effects of thè Inhibitor of Xanthine Dehydrogenase, 4-Hydroxypyrazolo (3,4 d) pyrimidine (or HPP) on thè Red Eye Pigments of Drosophila melano gaster. Experientia, 23, 186.
4) Boni P., Parisi G., 1967 - Ahnormalities of thè Eye Pigments ( Pteridins and Ommocliromes) Induced in Drosophila melanogaster by thè Inhibitor of Xan¬ thine Dehydrogenase 4-Hydroxypyrazolo (3,4 d) Pyrimidine. Experientia 23, 1020.
5) Keller E. C., Glassman E., 1965 - Phenocopies of thè ma-l and ry mutants of Drosophila melanogaster : Inhibition in vivo of Xanthine Dehydrogenase by 4-hydroxypyrazolo ( 3,4 d) pyrimidine. Nature, 208, 202.
6) Kidder G. W., Dewey V., 1961 - Folio acid sparing by Triamino pyrimidines. Bioch. and Biophis. Res. Comm., 5, 324.
7) McNutt W. S., 1961 - The Incorporation of thè Four Nitrogen Atoms of Purines into thè Pyrimidine and Pyrazine Rings of Riboflavine. J. Am. Chem. Soc., 83, 2303.
Boll. Soc . Natur. in Napoli voi. 79, 1970, pp. 25-36.
Inversione nel bradisismo puteolano
Nota del Socio GIUSEPPE IMBÒ
(Tornata del 20 marzo 1970)
Riassunto. — Nel dare informazione dell'inversione nell’andamento bradisismico puteolano si riferisce sulle prime estese osservazioni (sismiche, clinometriche, alti¬ metriche, mareometriche, geotermiche, gravimetriche) effettuate dall’Osservatorio Vesu¬ viano e dall’Istituto di Fisica Terrestre. Si tenta di dare una prima interpretazione del fenomeno.
Summary. — Information regarding thè reversion of thè soil slow-motion (bra- dyseisma) in thè Pozzuoli area are here given. The first geophysical observations (seismic, clinometric, altimetric, mareometric, geothermic, gravimetrie) carried out bv thè Osservatorio Vesuviano and by thè Istituto di Fisica Terrestre of thè University of Naples are here described. A tentative interpretation of thè phenomenon is given.
La stampa, attraverso : notizie, interviste, critiche, provvedimenti, ha già dato informazioni sull’inter essante fenomeno geofisico flegreo recentemente rilevato, ma nessuna relazione scientifica è finora apparsa. Fedele alla promessa di molti anni fa (credo una ventina) che feci alla Società, e per l’interessamento dimostrato dalla Società stessa, fin dalla sua istituzione, per gli studi flegrei, voglio darne comunicazione con soli alcuni brevi commenti, rimandando a successive pubblicaziom , che certamente appariranno, per uno studio più accurato e per le rela¬ tive interpretazioni.
Risulta opportuno premettere alcune notizie [Imbò 1959; Imbò 1965] geologico-vulcanologiche sulla zona, la quale, sotto il nome « Campi Flegrei », figura tra i vulcani attivi italiani. L’inizio di attività del vulcano si fa rimontare ad una data che va al di là dei due milioni di anni. Si osserva però che l’età dei prodotti più antichi affioranti è stata valutata intorno a qualche centinaia di migliaia di anni. Per sconquassamento e demolizione pressoché totale dell’edificio costruito nel corso di un primo periodo di attività eruttiva, si sarebbe avuta
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la formazione di un vasto cratere, comprendente oggi l’area rappresen¬ tata dal Golfo di Pozzuoli e dalle zone di terraferma adiacenti.
L’attività successiva del vulcano è stata intermittentemente ali¬ mentata attraverso apofisi, venendosi così a costituire centri eruttivi, dislocati, almeno apparentemente, in modo disordinato, nell’ampia area craterica e qualcuno anche all’esterno di essa. La vitalità dei singoli centri è stata relativamente effimera ed a volte limitata ad una sola eruzione. I più recenti edifici, in ordine cronologico, sono quelli di Monte Olibano, Agnano, Astroni, Fossa Lupara (preistorico). Mediante la datazione di un frammento d’albero, carbonizzato a causa dell’atti¬ vità eruttiva del centro eruttivo Astroni, ne è stata dedotta un’età che si aggira sui 4000 anni, in modo che la vita del centro eruttivo degli Astroni si è svolta intorno al 2900 avanti Cristo.
L’ultima eruzione della zona, l’unica sicura storica, è quella che dette origine alla costruzione del Monte Nuovo. Essa, preceduta da vivaci fenomeni sismici, ebbe inizio nella notte tra il 28 ed il 29 set¬ tembre 1538. Il monte fu costruito in appena due giorni; ma i fenomeni esplosivi furono presenti ancora per alcuni mesi. Debolissime manife¬ stazioni termiche sul fondo del cratere, che si apre alla cima del monte, persistono tuttora. Altre numerose manifestazioni termiche e termali si presentano nella zona sia in terraferma ( Cratere di Agnano, Mofete di Baia, Stufe di Nerone) che sottomarine ; ma la principale attività si svolge al cratere della Solfatara e precisamente alla Bocca Grande, ove si riscontra la più alta temperatura relativa alle manifestazioni super¬ ficiali dei Campi Flegrei.
Nel corso del tempo la temperatura ha subito accentuate varia¬ zioni. Nell’ultimo cinquantennio dai 162° del 1920 si è gradualmente pas¬ sato alla temperatura di 215° nel 1935. Successivamente la temperatura è andata progressivamente riducendosi fino a raggiungere una tempe¬ ratura presso a poco stazionaria di poco superiore ai 150°, corrispon¬ dente all’incirca a quella attuale.
Nell’ambito del cratere della Solfatara vi è anche il vulcanetto di fango « la fangaia ». Le manifestazioni fangose sono state piuttosto vi¬ stose nei secoli XV, XVI, XVII con la presenza di numerosi laghetti fangosi in attività.
A partire dall’inizio del secolo XVIII i fenomeni sono andati con¬ tinuamente diminuendo sia in estensione che in vivacità, sino a ridursi a relativamente deboli proiezioni.
Nel 1198 l’attività della Solfatara avrebbe subito un incremento
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nella copiosità delle esalazioni e forse anche delle proiezioni fangose, tale da far ritenere che il vulcano fosse stato in quell’anno teatro di una eruzione. JLa maggiore vivacità, anche se in parte forse apparente, sa¬ rebbe restata però sempre entro i limiti dell’attività caratteristica della Solfatara ; in modo che nel periodo storico il vulcano flegreo è stato interessato dalla sola eruzione del 1538.
Comunque nella zona si ha una successione di manifestazioni erut¬ tive intervallate da pause perduranti anche millenni, nel corso delle quali si sono avute e si hanno fenomeni tipici dell’attività secondaria, sempre però collegati con la persistente vitalità delle masse dalle quali trae origine l’attività eruttiva.
Un’espressione della locale attività è rappresentata anche dal feno¬ meno bradisismico [Oliveri del Castillo 1960, Parascamdola 1957] che interessa la zona ed in modo più sensibile l’area puteolana. Prove dell’assoggettamento della zona al bradisismo sono remote, ma dati con¬ creti si hanno solo a partire dal II secolo avanti Cristo, dopo cioè la costruzione del mercato di commestibili, detto « Macellum » e noto sotto il nome di « Serapeo ». Dall’epoca della costruzione presso a poco fino all’anno 1000 dopo Cristo, il piano dell’atrio del famoso monumento ha subito un progressivo, almeno medio, abbassamento di circa dodici metri, e cioè l’altezza dal valore iniziale di circa sei metri s’era portata a circa sei metri al disotto del livello del mare. Non essendovi elementi che potrebbero lasciare presumere l’esistenza di discontinuità nel senso del movimento, e cioè nella supposizione che il suolo si sia continua- mente abbassato nel corso dei dodici secoli, si deduce un abbassamento medio locale del suolo di un metro per secolo. Il massimo abbassa¬ mento viene indicato dall’altezza dei fori presenti su colonne elevantisi al centro dell’atrio e formatisi per azione dei litodomi.
Intorno al 1000 si ebbe un’inversione nel senso del moL. e presso a poco verso il 1500 la sua velocità ascensionale subì un incremento che perdurò fino all’eruzione del 1538. Successivamente il moto cambiò an¬ cora senso. In un primo tempo l’abbassamento fu piuttosto accentuato e successivamente, a partire ad esempio dal 1550, per fissare una data, proseguì con andamento presso a poco uniforme ed il cui valore medio annuo si è aggirato sui 13 millimetri. Questo comportamento può rite¬ nersi valevole fino alla metà del 1968 (Corrado, Palumbo 1968), an¬ che se si nutrono dubbi su una riduzione negli ultimi tempi della velo¬ cità d’abbassamento. La successiva osservazione al Serapeo è stata effet¬ tuata dairOLlVERi il 6 febbraio 1970. Per confronto con la misura del
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1968, l’ultima osservazione ha lasciato rilevare che nell’intervallo tra le due misure il piano del Serapeo ha subito un sollevamento all’incirca di novanta centimetri. Questo dato assume una notevole importanza ed è stato consentito solo perchè nel programma congiunto dei due Istituti (Osservatorio Vesuviano e Istituto di Fisica Terrestre dell’Università di Napoli) era compreso lo studio geofisico dei Campi Flegrei. Del resto ciò fu annunciato alla Società nella tornata del 26 febbraio 1954. In essa invero il socio d’Erasmo [d’Erasmo 1954] dette anzitutto comu¬ nicazione dell’effettuata estesa livellazione da parte dell’Istituto Geogra¬ fico Militare su sollecitazione di alcuni Istituti Universitari tra cui l’Isti¬ tuto di Fisica Terrestre nonché dell’Osservatorio Vesuviano. Ed annun¬ ciò poi l’avvenuto impianto, sempre a cura e per interessamento dei due detti Istituti, in un locale annesso all’edificio del Serapeo, di una sta¬ zione clinografica e di una stazione ma reografica, dopo aver ovviamente ottenuto il ripristino della via di comunicazione tra atrio e mare. Lo scopo delle osservazioni era ovviamente quello di poter rilevare le varia¬ zioni temporali del locale moto verticale del suolo e del gradiente sem¬ pre locale del fenomeno bradisismico. Per sorte difficoltà le osserva¬ zioni, prima le clinometriche e successivamente anche le mareometriche, furono sospese. Ma l’obiettivo fondamentale dello studio geofisico esteso della zona non poteva essere limitato alle già introdotte locali continue osservazioni. Venne pertanto richiesta, in una riunione tenuta a Napoli della Commissione Geodetica Italiana, la collaborazione di altri Istituti per la esecuzione di particolari ricerche che dovessero costituire punti di partenza per successive e più dettagliate indagini.
In questo quadro di attività risulta compresa la campagna geode - tico-geofisica nella regione circostante il Vesuvio eseguita negli anni 1959-1960 ed il successivo rilevamento gravimetrico dei Campi Flegrei con lo scopo di avere elementi per lo studio delle condizioni strutturali delle formazioni flegree- vesuviane.
Le indagini proposte dai due Istituti napoletani [Boaga, Imbò 1962; Maino, Segre, T ribalto 1963] furono eseguite in collaborazione dagli Istituti di Geodesia e Topografia dell’Università di Roma (U. Gian- none) e di Fisica Terrestre dell’Università di Napoli nonché dal Ser¬ vizio Geologico d’Italia (A. Maino e G. Tri batto). Svariate altre ri¬ cerche ( gravimetriche, geomagnetiche, geoelettriche, altimetriche) sono state condotte sempre per il medesimo scopo in aree ristrette della zona stessa. Qualche anno fa è stata inoltre sistemata alla Solfatara una stazione geotermica registratrice di apparati termometrici opportuna-
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mente sistemati alla Bocca Grande, alla Fangaia ed in altri quattro siti intermedi allineati coi due detti estremi.
Man mano che si è proceduto nelle ricerche si è resa sempre più evidente la necessità della creazione di un locale Osservatorio geofisico od anche di un centro di studi geofisici flegrei a carattere permanente. Invero fin dagli anni 1946-1948 avevo richiesto al Consiglio Nazionale delle Ricerche, senza esito alcuno, l’istituzione di un centro di studi geo¬ fisici nelle aree flegrea e vesuviana. Ma gl’intrapresi studi lasciarono rilevare l’urgenza d’un provvedimento del genere. E perciò, nel 1961, qua¬ le direttore di entrambi gli Istituti, avanzai una richiesta al C.N.R. per la creazione di un centro avente per finalità lo studio dei fenomeni sismo- -bradisismici nella zona puteolana e conseguentemente l’« individuazione della causa e del rapporto tra le due categorie di fenomeni ». La som¬ ma richiesta per attrezzature e manutenzione per l’intero primo trien¬ nio era di L. 12.100.000. Pare che la richiesta non fu accolta a motivo della sua relativa esiguità. Altra più recente richiesta è stata avanzata nel 1966 dopo che era stata autorizzata, mediante cessione di idonei vani, l’installazione presso le Terme di Agnano di un Osservatorio Geofisico, la cui finalità consisteva, come si precisò in una relazione allegata, nel- l’(( indagine sullo stato attuale e sull’evolversi dei principali fenomeni geofisici interessanti l’area dei Campi Flegrei », ed in particolare « la sismologia, il bradisismo, la geotermia ». La somma richiesta al C.N.R, risultava di L. 28.533.000, di cui L. 25.533.000 per attrezza¬ ture e L. 3.000.000 per manutenzione. Alla lettera di risposta, in data 3 aprile 1967 ed avente per oggetto: « Studio sistematico dei principali fenomeni geofisici che si manifestano nell’area dei Campi Flegrei », ven¬ ne allegata copia della relativa deliberazione del Comitato. Così si legge : a la richiesta di finanziamento è assai elevata. Il Comitato, pur apprez¬ zando l’iniziativa del Prof. Imbò, è spiacente di non poter finanziare la ricerca dato i fondi limitati di cui dispone ».
Le lamentele di qualcuno per « la mancanza di misurazioni e controlli di tali fenomeni per gli anni passati » sono pertanto prive di consistenza. Come pure risulta abbastanza chiaro su chi ricade la re¬ sponsabilità della assenza nella zona flegrea di sismografi funzionanti. Una tale messa a punto risulta indispensabile perchè la indicata man¬ chevolezza è stata rilevata dalla stampa. Le date giustificazioni non sono però sufficienti ad eliminare il rincrescimento per aver privato la scienza della conoscenza di elementi di altissima importanza ed atti a svelare le modalità con le quali si è passato dall’uno all’altro comportamento.
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Comunque però, anche ammesso che la inversione avesse avuto inizio in coincidenza della precedente misura del 1968, l’entità del subito sol- levamento risulta egualmente ed eccezionalmente alta. Essa sarebbe di gran lunga superiore alla media dei dodici millimetri annui stimati per il precedente persistente unico caso noto di sollevamenti del suolo nella zona, e cioè tra il 1000 ed il 1500; ed anche più elevata o quasi vicina al valore che sarebbe stato ottenuto nei successivi 38 anni circa, ossia nell’intervallo immediatamente precedente l’evento eruttivo del 1538.
La constatazione di un tale comportamento bradisismico, la consi¬ derazione di legami tra fenomeni sismici ed eruttivi da un lato e bra- disismici dall’altro hanno lasciato ritenere urgente l’attuazione del pro¬ gramma di ricerche, onde consentire le indagini ed eventualmente pre¬ vedere, se pure in senso generico, l’evoluzione dei fenomeni. Si è pro¬ ceduto immediatamente, con le apparecchiature dell’Osservatorio Vesu¬ viano e dell’Istituto di Fisica Terrestre, alla creazione di stazioni si¬ smiche, altimetriche, clinometriche, gravimetriche, mareografiche. E fu richiesto l’intervento di navi oceanografiche per l’estensione delle ricerche in mare, in modo che, dal coordinamento con quelle in terra¬ ferma, si potesse avere una più chiara visione del fenomeno.
Le misure continuative furono subito incominciate. In quanto alle sismiche, tra il 23 febbraio ed il 10 marzo entrarono successivamente in funzione la stazione di Pozzuoli (sistemata presso il Vescovado - 23 febbraio), quella in una grotta del Castello di Baia (3 marzo) e l’altra alla Grotta di Cocceio (10 marzo). Anche la stazione mareografica venne quasi subito sistemata presso la Capitaneria di Porto di Pozzuoli (25 febbraio). E poi si aggiunsero, per interessamento anche del Prov¬ veditorato alle Opere Pubbliche per la Campania, le altre stazioni : Pon¬ tile Ansaldo, Nisida, Miseno.
Presso la stazione sismica del Vescovado venne inoltre sistemata una coppia di livelle con sensibilità di circa 2”, disposte ortogonalmente, per lo studio delle variazioni nell’inclinazione del suolo.
Dopo le misure altimetriche relative, effettuate il 6 febbraio, si procedette ad estendere ed a ripetere nei giorni successivi molto fitta¬ mente le osservazioni. Le misure sono state proseguite, con ripetizione mensile, dal Genio Civile. Sono state ancora eseguite, sempre a cura dell’Osservatorio Vesuviano, ripetute campagne gravimetriche e prose¬ guite dall’Istituto di Fisica Terrestre, come per il passato, le osserva¬ zioni vulcanologiche alla Solfatara ed in particolare le geotermiche.
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I risultato ottenuti fino al presente possono essere così succinta¬ mente riassunti.
L’analisi dell’andamento sismico ottenuto per la stazione di Poz¬ zuoli ha lasciato rilevare che, dopo un breve intervallo di pausa sismica, si è avuta una prima registrazione di sismo locale il 1° marzo. Suc¬ cessivamente i fenomeni sismici si sono presentati con irregolari alter¬ native tra addensamenti e diradamenti. Fino al 9 giugno alla stazione sismica di Pozzuoli sono state registrate 243 scosse, di cui cinque (2 6 marzo; 3, 15, 16, 17 maggio) sono state avvertite con grado massimo raggiungente tutt’al più il IV della Scala Mercalli. Nei riguardi delle altre due stazioni nel medesimo intervallo sono state registrate 62 scosse a Baia e 65 scosse a Cocceio. Generalmente il numero di scosse a Coc- ceio è inferiore a quello delle scosse registrate a Baia. Il maggior nu¬ mero complessivo per Cocceio rispetto a quello della stazione sismica di Baia deve essere messo in relazione con un gruppetto di 16 scosse registrate nei giorni 8 e 9 giugno a Cocceio, mentre nelle medesime giornate alle stazioni sismiche di Baia e di Pozzuoli si è avuta la registrazione rispettivamente di sei e di due scosse. E pertanto mentre abitualmente, almeno sino ai primi di giugno, le intensità presentano un massimo a Pozzuoli, nelle altre due stazioni si ha rispettivamente una riduzione sensibile per Baia ed ancora più pronunziata per Cocceio, Nelle scosse indicate dei giorni 8 e 9 giugno il massimo di intensità si ha a Cocceio ed il minimo, sia nel numero che nell’intensità, a Poz¬ zuoli. Evidentemente il comportamento deve mettersi in relazione prin¬ cipalmente con la diversa posizione e con la relativamente piccola pro¬ fondità ipocentrale. Nei riguardi della posizione epicentrale, la maggior parte degli epicentri è ubicata in mare entro una stretta fascia prospi¬ ciente il tratto di costa del Golfo di Pozzuoli tra Bacoli e La Pietra. Relativamente scarso il numero di scosse il cui epicentro interessa la corrispondente zona costiera. La profondità ipocentrale risulterebbe varia¬ bile tra Y2 km ed 1 1/2 km. Nei riguardi della causa le scosse devono, in ge¬ nere, essere poste in relazione non tanto con il fenomeno genetico dell’in¬ versione bradisismica, quanto con le vicende episuperficiali provocate dalla evoluzione del fenomeno bradisismico stesso. Ed è nel quadro di questa evoluzione che deve ricercarsi la causa : delle svariate spaccature del suolo, delle lesioni a fabbricati ed a muri di protezione in Pozzuoli e particolarmente nella zona prossima al porto, in quanto provocate da abbassamento relativo della falda e da conseguente prosciugamento del mezzo superficiale.
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L’esame comparativo dei mareogrammi ottenuti alla stazione ma- reografica sistemata presso la Capitaneria di Porto di Pozzuoli ed a quella di Napoli ha consentito di rilevare che tra il 1° marzo e FU giu¬ gno si è avuto, presso la Capitaneria, un innalzamento complessivo di cm 14,8 con un valore medio giornaliero di mm 1,43. Invero il ritmo non si è mantenuto costante in tutto Fintervallo.
Esso è stato di
cm 2,10 per l’intervallo
» 1,11 » »
» 3,75 » »
» 1,00 » »
» 0,11 » »
1-31 marzo,
31 marzo - 29 aprile, 29 aprile - 7 maggio,
2 marzo - 10 aprile, 25 maggio -11 giugno
Analoghi risultati sono stati ottenuti al mareografo del pontile Ansaldo.
I valori altimetrici dei capisaldi della linea Torretta di Chiaia-Poz- zuoli ottenuti nelle campagne di rilievi, disposte dal Provveditore alle Opere Pubbliche ed eseguite, a mezzo di personale idoneo, dal Genio Civile, danno una generica conferma dei precedenti valori. Riferendomi invero al Serapeo, mancando i dati relativi alla Capitaneria, le varia¬ zioni rilevate sono :
cm 1,13 per l’intervallo 24 febbraio - 2 marzo » 5,62 » » 2 marzo -10 aprile,
» 5,65 » » 10 aprile - 10 maggio.
Nei riguardi invece delle stazioni mareografiche, sistemate a Ni- sida ed a Miseno, i risultati sono stati i seguenti :
Per Nisida tra il 21 marzo ed il 9 giugno si è avuto un innalza¬ mento complessivo di cm 2,7, con un valore medio giornaliero di mm 9,49 tra il 21 marzo ed il 6 maggio e di mm 0,12 tra quest ’ultima data ed il 9 giugno.
Per Miseno sembra invece che si abbia un abbassamento che, per l’intervallo 22 marzo-9 giugno, sarebbe risultato di mm 0,06. In con¬ siderazione della esiguità della variazione e dell’entità dell’errore che comporta il metodo seguito, saranno le ulteriori osservazioni che po¬ tranno confermare o meno il risultato.
Come pure, nei riguardi della clinometria, per la stazione di Poz¬ zuoli si sono avute rotazioni mostranti un continuo medio sollevamento, più pronunciato nella zona presso a poco ad E della stazione. Tra il
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1° marzo ed il 9 aprile la variazione complessiva è stata di 5”, ciò che lascia dedurre un gradiente giornaliero nel senso indicato, che si tra¬ durrebbe in un costante maggior sollevamento nella regione orientale di circa 0,5 x IO-7 metri per metro. Può ammettersi la costanza di un tale gradiente anche successivamente, almeno sino alla data considerata del 9 giugno. Ed una conferma di un tale comportamento può rilevarsi anche dalle misure altimetriche.
Le misure geotermiche alla Solfatara non hanno mostrato fino a] 9 giugno alcuna variazione sensibile della temperatura che si è man¬ tenuta presso a poco costante. Il valore rilevato alla Bocca Gande si aggira sui 152°C.
In quanto poi alle misure gravimetriche il primo rilevamento è stato effettuato verso la metà di febbraio (14-20). Sono state effettuate misure notturne allo scopo di evitare perturbazioni derivanti dal traffico. Il confronto tra gli ottenuti valori opportunamente corretti ed i corri- epondenti valori desunti dalla carta Maino-Tribalto del 1963 ha lasciato rilevare l’esistenza di scarti positivi con variazione progressiva verso un valore massimo lungo l’arco dell’insenatura di Baia. Il successivo rilevamento di fine febbraio (26 febbraio-3 marzo) ha messo invece in evidenza per tutte le stazioni situate lungo l’arco costiero tra B acoli e La Pietra un sensibile abbassamento generale dei valori rispetto a quelli ottenuti nelle precedenti osservazioni di metà febbraio. I nuovi valori, mantenentisi sempre più elevati, rispetto a quelli del 1963, non hanno subito sensibili variazioni nei successivi rilevamenti fino al 9 giugno.
Dopo aver dato il quadro dei risultati ottenuti nei primi mesi di attuazione del programma, non è mia intenzione come ho detto inizialmente, trarre alcuna conclusione definitiva, in quanto pre¬ matura. Può ritenersi opportuno però azzardare una prima interpre¬ tazione sulla genesi e sullo sviluppo del nuovo fenomeno. Questo invero, sorpreso quasi in fase iniziale, dovrebbe piuttosto essere messo in relazione con un processo di degassazione da parte di masse magma¬ tiche che, per intrusione, avrebbero raggiunto minori profondità. Sono le caratteristiche di rapidità e di estensione, con le quali si è manifestato e continua a svilupparsi il fenomeno, che lasciano propendere per un processo convettivo (con diffusione attraverso le incontrate masse acquee che impregnano le formazioni di tufi e materiale incoerente, colmanti il vasto cratere flegreo) anziché per un semplice processo di condu¬ zione [Oliveri del Castillo, Quagliariello 1969 a; Olxveri del
3
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Castillo, Quagliariello 1 969b] . Il lento progressivo innalzamento termico sarebbe pertanto accompagnato da un aumento nella copiosità dei volatili liberi con conseguente graduale aumento diffuso di pressione, nonché, a sua volta, da un aumento nel flusso orizzontale delle acque del sottosuolo. Ed accetto ancora la tesi di Oliveri che attribuisce al¬ cune a crisi sismiche localizzate alla microfrantumazione dello sche¬ letro ».
Il proseguimento e Fintensificazione delle osservazioni nonché una conveniente discussione critica di esse, potrà certamente nel seguito consentire una idonea interpretazione del fenomeno nonché la eventuale formulazione di previsioni almeno generiche sulle future vicende in re¬ lazione alle condizioni locali.
Prima di chiudere la relazione sento il dovere di dichiarare che la messe di risultati è stata ottenuta per la solerzia, l’abnegazione dimo¬ strata da tutto il personale scientifico e tecnico dei due Istituti nella si¬ stemazione delle apparecchiature, nella manutenzione, nelle elaborazioni dei dati e nelle discussioni dei risultati. Devo aggiungere anche che la rapidità con la quale si è proceduto alle prime sistemazioni strumentali è stata consentita dalla immediata esecuzione delle opere necessarie, predisposte, con vivo interessamento, dal Provveditorato alle Opere Pub¬ bliche per la Campania.
Devono essere segnalati : per le misure altimetriche il Prof. Alessan¬ dro Oliveri che, accortosi delFavvenuta inversione, da solo effettuò la mi¬ sura, e pertanto la stima del già subito innalzamento, il Dott. Antonio Rapolla, il sig. Sergio Montagna; per la sismo-clinometria : Dott. Aldo Lo Bascio, Dott. Giuseppe Luongo. Dott. Antonio Nazzaro, Sig. Ni¬ cola Roberti, Sig. Raffaele d’Alessandro, Sig. Ciro Caiazzo ; per la gravimetria: Dott. Vito Bonasia, Dott. Eugenio Carrara; per la geo¬ termia, mareografia, rilievo in mare, avvalendosi della « Ulisse Igliori » : Dott. Antonino Palumbo, Dott. Gennaro Corrado, Sig. Ignazio Guerra, Sig. Ciro Pizza, Sig. Antonio Fusco; per la radioattività delle acque termali : Prof. Paolo Gasparini, Dott. Lucia Civetta.
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BIBLIOGRAFIA
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Corrado G., Palumbo A., 1968 - Osservazioni sul bradisismo flegreo. Boll Soc. Nat. Napoli LXXVII.
d’Erasmo G., 1954 - La rideterminazione altimetrica del Serapeo di Pozzuoli eseguita daWIstituto Geografico Militare nel 1953. Boll. Soc: Nat. Napoli LXIII.
ImbÒ G., 1959 - Considerazioni sui fenomeni sismici e vulcanici. A.O.V. Ser. 6a III.
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Maino A., Segre A. G., Tribalto G., 1963 - Rilevamento gravimetrico dei Campi Flegrei e delVlsola d’Ischia. A.O.V. Ser. 6a V.
Oliveri del Castillo A., 1960 - Studio del bradisismo flegreo mediante osservazioni mareo grafiche. Atti Ass. Geof. Ital. X.
Oliveri del Castillo A., Quagliariello M. T., 1969a - Sulla genesi del bradisismo flegreo. Mem. Soc. Nat. Napoli, Suppl. LXXVIII.
Oliveri del Castillo A., Quagliariello M. T., 1969b - Sulla genesi del bradisismo flegreo. Atti. Ass. Geof. Ital. XVIII.
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Boll. Soc. Natur. in Napoli voi. 79, 1970, pp. 37-48, 7 figg.
Metodi ecografici per l'individuazione e lo studio delle manifestazioni fumaroliche e delle strutture sottomarine
Nota del Socio ANTONINO PALUMBO (1) e GAETANO LATMIRAL (2), GIUSEPPE LATMIRAL (3), LORENZO MIRABILE (2) e ALDO SCALERÀ (4).
(Tornata del 20 marzo 1970)
Riassunto. — Si descrive un metodo speditivo per l’individuazione delle mani¬ festazioni fumaroliche sottomarine per mezzo di ecoscandagli. Si fornisce una prima carta delle manifestazioni rilevate nel Golfo di Pozzuoli. Si uniscono altresì alcune registrazioni sismiche eseguite mediante uno Sparker E. G. G. lungo rotte interse¬ canti alcune delle fumarole sopra descritte.
Summary. — A quick method for thè individuation of submarine fumarolic activities by means of echosounders is described. A first map of thè ascertained submarine activities in thè Pozzuoli Bay is enclosed together with seismic profiles obtained by means of an E.G.G. Sparker along courses Crossing some of thè above mentioned fumaroles.
1. Impiego di ecoscandagli per l’individuazione ed il controllo
DELLE FUMAROLE.
L’impiego delFecoscandaglio a 12 KHz installato a bordo della M/n Ulisse Igliori, benevolmente messa a disposizione dal Dr. Scalerà, ha permesso la individuazione ed il controllo delle fumarole sottomarine della zona flegrea, con una procedura efficace e speditiva di cui non si ha notizia nella bibliografia.
La corrispondenza tra le registrazioni delFecoscandaglio ( Fig. 1) e la presenza delle fumarole è stata ripetutamente controllata dai sommoz-
(1) Istituto di Fisica Terrestre, Napoli.
(2) Istituto Universitario Navale, Napoli.
(3) Istituto di Geofisica Mineraria, Roma
(4) Cultore di scienze marittime, Napoli.
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Fig. 1. — Ecogrammi di manifestazioni fumaroliche, rilevati dalla M/n Ulisse Igliori con ecoscandaglio Simrad.
zatori del Centro Subacqueo di Baia (Fig. 2) che validamente si sono prodigati per agevolare il controllo dell’attività fumarolica ed ai quali è dovuto uno speciale ringraziamento.
La individuazione delle fumarole con ecoscandagli è agevolata dal forte salto d’impedenza acustica esistente tra l’acqua e la miscela acqua- gas. La brevità delle lunghezze d’onda rispetto alle dimensioni della zona gassata ne consente una individuazione quasi ottica.
Per controllare le variazioni di intensità, nel tempo, di una stessa fumarola sottomarina, può essere utile valutare il numero di decibel di attenuazione che occorre inserire per portare l’eco della fumarola stessa al limite della individuabilità, vale a dire per rendere all’incirca unita¬ rio il rapporto segnale/rumore (sopra soglia).
39 —
Fig. 2. — Controllo visivo delle fumarole da parte dei sommozzatori del Centro Subacqueo di Baia.
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Quando si voglia confrontare l’attività di fumarole diverse, site a varie profondità e caratterizzate da composizioni gassose, temperature, forme, estensioni e salti di pressione diversi, il problema diviene più arduo perchè bisognerebbe anzitutto chiarire qual’è il parametro che conviene assumere come atto a definire l’« attività » della fumarola, i cui gas si sciolgono nell’acqua gradualmente, raggiungendo anche la su¬ perficie quando la profondità è modica.
Se la fumarola fosse assimilabile ad un bersaglio Radar e salvo op¬ portune (ma quanto attendibili?) ipotesi sulla reirradiazione di detto ber¬ saglio, nonché sulla sua quota equivalente (se il bersaglio fosse aderente al fondo, non lo si distinguerebbe da esso), sarebbe possibile definire l’attività della fumarola in base ad una adatta « sezione Radar equiva¬ lente » (*).
Il confronto tra fumarole diverse appare però, per le difficoltà già menzionate, assai opinabile e potrà tutt’al più permettere di classificarle, tenendo in opportuno conto il fattore profondità, in un limitato numero di categorie.
La identificazione (ricerca della esistenza) ed il controllo nel tempo della intensità di una stessa fumarola sono invece senz’altro da conside¬ rare come fatti tecnici acquisiti. La modesta apertura (10° -f- 15°) dei fasci degli ecoscandagli può rendere disagevole la ricerca in acque poco profonde. Preziosa sarebbe, specie in questi casi, la disponibilità di un Dual Side Scan Sonar. Il controllo, in acque poco profonde, è agevolato dal marcare le fumarole a mezzo di galleggianti ancorati.
Per quel che concerne la misura della temperatura delle fumarole con sonde opportunamente posizionate (da sommozzatori) e cavi collegati a boe in superficie, l’Istituto Universitario Navale ha realizzato un di¬ spositivo sperimentale per la misura e la eventuale radiotrasmissione a distanza dei dati di temperatura rilevati con termistori (A. Palumbo - E. Paglini, 1970).
In Fig. 3 è riportata una prima carta delle manifestazioni accertate
(*) Detta a l’attenuazione in dB/m (che per f = 12 KHz ed a 10 °C è dell’or¬ dine di grandezza di IO-3) la sezione Radar G (m2) sarebbe ad esempio nel caso del tutto ideale di un bersaglio a reirradiazione sferica e senza perdite :
0" = Cost. PR . r4 . 10+2«r/10
ÌÓTC2
dove Cost = - ; G è il guadagno in trasmissione, A (in m2) l’area efficace
g.a.pt
in ricezione, PT e PR le potenze trasmesse e ricevute (in watt od altra unità omo¬ genea), r la distanza sonar-bersaglio (in metri).
©Aonw aiuoli
C. Misano Fig.3. — Pianta delle manifestazioni.
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nel Golfo di Pozzuoli. In corrispondenza di ciascuna manifestazione sono segnati : un numero indice che in modo qualitativo rappresenta il grado relativo di attività e, per qualcuna, il valore della temperatura del gas nel sedimento.
Ove si disponesse dei necessari mezzi, si potrebbe estendere la mi¬ sura di temperatura a quasi tutte le manifestazioni, eseguendo nel con¬ tempo prelievi di gas per le analisi chimiche, rilievi fotografici per Finterpretazione di alcune particolarità rilevate negli ecogrammi, e pro¬ cedere all’etichettamento dei piccoli crateri individuati per facilitare il controllo futuro dell’attività. Tutti i predetti accertamenti, compresa la carta stessa delle manifestazioni, potrebbero poi reiterarsi nel tempo onde seguire l’eventuale evoluzione della fenomenologia accertata ed ottenere così elementi per correlabilità con la fase attuale del bradisismo fiegeo.
II. Profili sismici del sottofondo marino.
Nel periodo dal 14 al 19-3-70 sono stati eseguiti nel Golfo di Poz¬ zuoli rilievi sismici per riflessione mediante la M/n Dectra dell’Isti¬ tuto Universitario Navale di Napoli. I rilievi sono stati eseguiti con ap¬ parecchiature della ditta statunitense E.G.G. (Boomer e Sparker fino a 8 K Joule con spettri di frequenza centrati rispettivamente intorno a ^1090 Hz e ^ 100 Hz). L’idrofono ricevente può considerarsi punti¬ forme (Mirabile, 1969).
Si allegano due profili sismici (Sparker 4 K Joule) relativi a due sezioni, all’incirca parallele tra di loro, di un tratto del fondo marino, tra il Molo Caligoliano di Pozzuoli e la Punta Epitaffio, dove l’attività fumarolica sottomarina, rilevabile con ecoscandagli, è particolarmente in¬ tensa in corrispondenza di una depressione del fondale (Figg. 4 e 5).
Specialmente sulla verticale dei fianchi di detta depressione, la tor¬ mentata struttura del sottofondo presenta anomalie ed interruzioni dei li¬ velli riflettenti. Sono in particolare da notare delle regioni opache, della larghezza di qualche centinaio di metri, che dal profondo (^ 200m) salgono alla superficie del fondo marino ed in corrispondenza delle quali l’attività fumarolica è più intensa.
Tali regioni opache potrebbero essere messe in relazione con la pre¬ senza di fratture attraverso cui gas e vapori provenienti dal profondo hanno raggiunto la superficie del fondo marino alterando profondamente le rocce attraversate.
Fig. 4. — 1° profilo sismico sparker.
O co o © ,$* w m m
i , ,\Ò iM f $h
240
250
Fig. 5.
90
profilo sismico sparker.
profilo sismico sparke]
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Un terzo profilo ( anch’esso eseguito con Sparker 4 K Joule) è re¬ lativo ad un percorso all’incirca parallelo alla costa nel tratto da Punta Epitaffio a Capo Miseno ; anche in esso è visibile una zona opaca, presso a poco a traverso del Monte Miseno. In queste zone « opache » tutto ac¬ cade come se dei fenomeni di diffrazione dovuti ad un mezzo con diso¬ mogeneità sostanzialmente aleatorie elevassero il livello del rumore note¬ volmente al di sopra della soglia di sensibilità dell’apparato ( Fig. 6).
Le scale orizzontali dei profili sismici e della carta topografica risul¬ tano dalle relative scale grafiche. Per quel che concerne invece la scala delle profondità, essa è in millisecondi (tempo di andata e ritorno del segnale acustico) ; la scala stessa sarebbe leggibile in metri qualora la velocità di propagazione fosse di 2000 m/sec.
Queste registrazioni, insieme a numerose altre, sono attualmente in studio sia al fine di sceverare i segnali utili da quelli multipli, spuri o comunque indesiderati, sia al fine di interpretarne il significato e l’ori¬ gine. Si eseguiranno nel prossimo futuro altri profili secondo un fitto reticolo Loran C coprente tutto il Golfo di Pozzuoli, se possibile avva¬ lendosi anche di prospezioni più profonde, onde ottenere informazioni sulle strutture geologiche sottomarine di questa zona e accertare la even¬ tuale prosecuzione di fratture o faglie già rilevate a terra ( Rittmann ed altri, 1950).
I segnali e gli echi spuri potrebbero essere in gran parte eliminati utilizzando tecniche di filtraggio statistico (Corti, 1969) e, previa regi¬ strazione su nastro magnetico, di digitalizzazione ed elaborazione nu¬ merica.
III. Conclusioni.
Le considerazioni svolte nel Paragrafo I mostrano che l’impiego di ecoscandagli permette di identificare e controllare speditivamente le fumarole sottomarine e, semprechè il fondale lo consenta, di guidare l’opera dei sommozzatori e le installazioni di apparecchiature di controllo termico e di analisi dei gas.
La esecuzione di profili sismici per riflessione (Par. II) mostra poi che, in generale, a dette fumarole corrispondono, in profondità, zone in cui le rocce presentano caratteristiche fisiche particolari ; tali profili possono quindi servire di base per la esecuzione di trivellazioni e carotaggi atti a consentire il rilevamento geologico sotto i sedimenti marini di origine recente.
poxzutsl
golfo di pozzuoli
..«‘V
vV'
.N
2 7©
fig, 7- rotte luogo le quali sono stati eseguiti i profili sismici 1°, T e 3° , di cui rispettivamente alle figure 4 , S e 6.
c°, mietano
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I profili sismici stessi possono rivelare altresì fratture e faglie anche in eventuale prosecuzione di quelle già rilevate a terra.
L’uso di ecoscandagli a frequenza elevata (batimetria di precisione e reperimento di fumarole) ed a frequenze più basse (atte ad assicurare una buona penetrazione nel sottosuolo marino) può considerarsi quindi un prezioso ausilio per il controllo e lo studio della parte sommersa della zona flegrea.
BIBLIOGRAFIA
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Rittman A., Folini F., Nicotera P., Ventrigli a U., Vighi L., 1950 - Carte vul¬ canotettoniche dei Campi Flegrei. Bollettino della Società Geologica Italiana, Voi. LIX, Fase. II (Rilievo geologico dei Campi Flegrei).
Corti E., 1969 - Rivelazione del segnale d’eco mascherato da rumore in un problema di stratigrafia sottomarina, mediante alcune tecniche della teoria dei sistemi lineari. Annali I.U.N.
Boll. Soc. Natur. in Napoli voi. 79, 1970, pp. 49-57.
Proposta di un meccanismo di formazione delle forme crateriche
(Maaren, Crateri, Caldere) - (Nota preliminare)
Nota dei Soci A. 0LIVER1 DEL CASTILLO (1) e M. T. QUAGLIARIELLO (1) (Tornata del 31 ottobre 1969)
Riassunto. — Il meccanismo del collasso che genera la formazione delle varie forme crateriche è interpretato in base al comportamento reologico dei mezzi porosi imbibiti, costituenti gli strati vulcanici superficiali, allorché la variazione della pres¬ sione del fluido di poro è tale da provocare la microfrantumazione dello scheletro. L’analisi è fatta a somiglianza di quella della fratturazione idraulica.
Le energie sismo-eruttive che generano questo meccanismo sono determinate dall’incontro delle masse magmatiche con lo strato acquifero superficiale. Esse danno luogo a microfrantumazione in un intorno più o meno esteso del punto di scoppio, dove le pressioni sviluppate sono considerevolmente maggiori di quelle minime pre¬ viste in base alla analisi. La conseguente riduzione di porosità è condizionata dalla permeabilità del mezzo circostante e quindi il collasso delle zolle sovrastanti non può avvenire repentinamente, ma si determina dopo un certo tempo durante il quale hanno luogo le manifestazioni eruttive.
Viene messo in evidenza che l’entità del fenomeno dipende dalla energia svi¬ luppata al fuoco, dalla natura, dallo spessore, nonché dalla estensione dello strato impregnato di fluido : questi parametri condizionano la forma e la dimensione delle cavità vulcaniche.
Si rileva infine come un analogo meccanismo di collasso si possa determinare a causa dell’energia sviluppata in occasione dei terremoti.
Summary. — The genesis of thè crater slopes is here interpreted on thè basis of thè rheologic behaviour of thè porous media filled by fluid which form thè surface volcanic layers.
The eollapse mechanism which geneartes such slopes occurs when thè fluid pres¬ sure is such to cause thè craking of thè rock frame.
Such mechanism was analized by criterion applied by Hubbert and Willis to hydraulic fracturing.
*) Questo lavoro è stato eseguito con i contributi del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
(1) Dell’Istituto di Fisica Terrestre dell’Università di Napoli.
4
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The seismo-eruptive energies wich generates such a mechanism are due to thè contact between magmatic masses and water underground.
Such energies cause thè craking of a more or less large volume surrounding thè explosion point where thè developed pressures are greatly higher than thè mi¬ nimum pressures estimated by thè analysis. The consequent porosi ty reduction is conditioned by thè permeability of thè surrounding rock and then thè collapse of thè upper materials cannot happen sharply. It should happen after a certain lime during which thè eruptive activity take place.
It is pointed out that thè dimension of thè collapse depends : on thè energy developped at thè focus and on thè nature, thickness and extension of thè fluid filled layer. Slopes and dimension of thè volcanic craters depende on those pa- rameters.
It is moreover pointed out that a similar collapse mechanism may he caused by energy developed by earthquakes.
Premessa.
Il problema del meccanismo di formazione delle forme crate¬ riche in generale e delle caldere in particolare ha interessato note¬ volmente i vulcanologi, in quanto la sua comprensione costituisce un elemento saliente per approfondire l’indagine sulla dinamica delle masse magmatiche celate nell’interno della crosta.
L’argomento è stato pertanto analizzato in ogni tempo da nume¬ rosi studiosi, i quali hanno proposto varie ipotesi per spiegare le modalità di formazione delle cavità vulcaniche.
H. Williams nel 1941, in un lavoro, poi divenuto un classico su questo argomento, sintetizzò in modo molto chiaro i vari aspetti del problema. Dopo aver passato in rivista i dati disponibili riguardanti i processi eruttivi, a seguito dei quali si formarono caldere e crateri, egli illustra le varie teorie proposte per spiegare le cause della loro formazione e le critiche a cui ognuna di queste è stata sottoposta.
Egli giunge alla conclusione, anche fondata sui suoi studi, che la principale e la più generale causa della formazione delle cavità vulcaniche è il collasso posteruttivo di zolle più o meno estese ingol- fantesi nel sottosuolo. Questa visione è legata alla constatazione che tra i prodotti eruttivi non si trovano, se non in percentuale minima, i frammenti di vecchie lave strappati ai coni originari, cioè non si verifica la condizione indispensabile per poter connettere le cavità alle poderose esplosioni vulcaniche.
La teoria del collasso è necessariamente legata alla esistenza
o
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formazione all’interno della crosta di grandi cavità, entro cui sia con¬ sentito l’ingolfamento di grandi volumi di roccia. Questo ha indotto i ricercatori ad ammettere l’ipotesi o dello svuotamento dei bacini, costituenti le riserve magmatiche intercrostali, sottostanti i vulcani, o del camino vulcanico.
Negli studi sui meccanismi di formazione dei maaren sono rite¬ nute valide le stesse considerazioni fatte in generale per la genesi delle caldere.
Le ipotesi connesse all’idea dello svuotamento sono piuttosto labili, in quanto non sembra consentita una visione unitaria di un tale fenomeno: quando la massa dei prodotti eruttati sembra potersi considerare eguale a quella delle rocce ingolfate, allora appare legit¬ timo considerare che la causa dello svuotamento sia l’eruzione stessa; quando, e questo accade più frequentemente, i volumi dei prodotti eiettati costituiscono una percentuale di quelli delle masse ingolfate, allora è stato necessario invocare o l’esistenza di un vuoto nella ca¬ mera magmatica, precedente all’eruzione, oppure la fuga o dai bacini o dai camini magmatici di grandi masse di lave attraverso vie, co¬ munque aperte, diverse da quella eruttiva.
Dacché il Williams ha posto in questi termini il problema, tutti gli autori si sono rifatti alla sua sintesi che deve ora ritenersi, anche tra labili contrasti, universalmente accettata (H. Kuno, 1953; T. Sim- kin and K. A. Howard, 1968).
Non è sembrato compito degli autori di questa nota rilevare i motivi per i quali l’idea dello svuotamento dei bacini o camini magmatici possa apparire non sufficientemente fondata, anche per la mancanza di ogni fondamento geofisico.
Qui si è inteso proporre per le forme crateriche un meccanismo di formazione che consenta di prescindere dalla problematica connessa al meccanismo delle fughe magmatiche intercrostali.
Il meccanismo del collasso.
In una recente nota (Oliveri del Castillo e Quagliariello, 1969) è stato proposto un meccanismo atto a spiegare la genesi del bradisismo flegreo, soprattutto in relazione ai fenomeni di movi¬ mento positivo del suolo, verificatosi in occasione della formazione del Monte Nuovo. Questo meccanismo ha le sue basi nella teoria del
— 52 —
flusso del fluido nei mezzi porosi imbibiti (Hubbert e Rubey, 1959; Scheidegger, I960): in particolare si è mostrato come l’aumento della pressione del fluido di poro, generato nello strato acquifero superfi¬ ciale dalle energie sismoeruttive, comporta aumento della porosità p deformazione dello scheletro. Tale meccanismo è rappresentato dalla equazione dell’idrodinamica nella forma più generale fornita da Scheidegger, nell’assunzione della validità della legge di Darcy:
5
bt
P
L K ^-1
In pratica il fenomeno può sintetizzarsi, prendendo in considera¬ zione anche le correnti di convezione termica che vengono a crearsi e ad amplificarsi nelle aree geotermiche, in un rigonfiamento dello strato superficiale.
In occasione delle grandi manifestazioni eruttive in molti settori vulcanici della Terra si verificano, invece di moti positivi del suolo, fenomeni di accelerata subsidenza (Mogi, 1958). Sorgeva quindi l’in¬ terrogativo se fosse possibile o meno attribuire anche questi ultimi alla natura dello strato superficiale poroso imbibito.
Nel quadro delle deformazioni prodotte dall’aumento di flusso del fluido nei mezzi porosi rientra anche il fenomeno della rottura dei legami tra gli elementi costituenti il mezzo solido cui consegue una riduzione della porosità (Terzaghi, 1945). Pertanto è necessario prevedere nella analisi degli effetti connessi con le energie sismo¬ eruttive negli strati porosi altamente impregnati di acqua, la possi¬ bilità di un duplice comportamento, infatti la variazione della pres¬ sione del fluido di poro generata all’interno del mezzo poroso può determinare :
1) Un aumento di porosità con deformazione viscoelastica dello scheletro e conseguente rigonfiamento dello strato;
2) Una riduzione di porosità, a causa della microfrantumazione (cracking) dello scheletro, con conseguente accelerata consolidazione dello strato.
In realtà il verificarsi della seconda condizione è più frequente
(1) K coefficiente di compressibilità del mezzo; p densità del fluido; P. porosi¬ tà ; 5, coordinate lagrangiane ; coefficiente di viscosità del fluido ; p pressione del
fluido di poro; Kap permeabilità.
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della prima; anzi si può affermare che il fenomeno del collasso si accompagni sistematicamente ai fenomeni eruttivi, di natura esplo¬ siva, su aree più o meno estese.
Anche la teoria della frantumazione è sorretta da ricerche teori¬ che sperimentali riguardanti il comportamento delle rocce reali, po¬ rose permeabili, al variare della pressione del fluido di poro (Ter- zaghi e Peck, 1968).
Gli studi (Hxjrbekt e Willis, 1957). inerenti la frantumazione dei mezzi porosi, prodotta dalla variazione della pressione del fluido di poro. Questi studi sono sviluppati in base alla analisi dello stato di tensione, effettuati con il diagramma di Mohr nella ammissione, confermata dalPesper lenza, che le faglie normali con movimenti relativi delle super* fiei di scorrimento verticali siano caratterizzate dall’essere lo sforzo mas¬ simo principale verticale e quelle per scorrimento dall’essere lo sforzo minimo verticale conducono alle conclusioni qui di seguito brevemente sintetizzate (2).
Se gli sforzi in un mezzo poroso superano un certo limite, il mezzo sottoposto a carico verrà meno come un qualsiasi corpo solido e così, Se si trascura il contenuto dei pori, le modalità di cedimento saranno identiche a quelle osservate in generale. Quando invece il mezzo poroso è riempito di fluido, l’influenza di questo sul cedimento è saliente.
Il liquido di poro ha per effetto di provocare quel tipo di cedi¬ mento che viene chiamato « splitting failure » (rottura dei legami tra i granuli costituenti l’impalcatura dello scheletro). Ovviamente lo sforzo che determina detto cedimento, dovuto alla pressione del fluido che agisce dall’interno, è misura della tenacità della struttura porosa alla trazione. La pressione del fluido che causa lo cc splitting failure » di¬ pende dallo stato di sforzo totale nel mezzo (Terzaghi, 1945; Schei- regger, 1960).
Lo stato generale di sforzo del sottosuolo è caratterizzato dal fatto che gli sforzi principali sono disuguali (lo stato degli sforzi non può considerarsi infatti di tipo idrostatico).
In campo tettonico si distinguono aree rilassate ed aree di com¬ pressione tettonica attiva. Nel primo caso, caratterizzato da faglie nor¬ mali, lo sforzo minimo dovrebbe essere orizzontale o quasi; mentre
(2) In generale si trova sperimentalmente che lo sforzo minimo è un terzo dello sforzo massimo.
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nel secondo caso, lo sforzo minimo è quello verticale, uguale alla pres¬ sione della serie sovraincombente. Allorché la pressione del fluido produce fratture, queste si determinano lungo piani ortogonali alla direzione di sforzo minimo. Quando lo sforzo prevalente è orizzontale la pressione occorrente per produrre fratture è maggiore della pressione della serie sovraincombente. Quando invece lo sforzo prevalente è verticale (aree tettonicamente rilassate) le entità della pressione occor¬ rente è minore di quella della serie sovraincombente (Sz) ed è circa uguale ad un terzo dello sforzo effettivo (Sz-p), agente nel mezzo poroso.
Nelle zone di vulcanismo estrusivo lo sforzo principale preva¬ lente deve ritenersi verticale o quasi, infatti le masse ignee si fanno strada nella crosta, dal basso verso l’alto, attraverso (c linee di minore resistenza » è cioè nella direzione normale allo sforzo minimo, con evidente andamento quasi verticale. Il che indica che i settori vul¬ canici attivi dovrebbero trovarsi in aree tettoniche rilassate. (Ander¬ son, 1963; Jeffreys, 1962).
Pertanto per strati di tipo piroclastico, altamente porosi e di bassa densità (2-2,3 gr/cm3, compresa l’acqua di impregnazione), la variazione di pressione di poro occorrente per produrre frattura, nel caso in cui i pori dell’intero strato possono considerarsi interconnessi, deve considerarsi di un ordine di grandezza prossimo a un terzo della pressione idrostatica del fluido, ad ogni profondità. Nel caso invece che lo strato imbibito o parte di esso sia confinato, il Ap occorrente per produrre gli effetti considerati, sarà ancora minore del precedente valore, in quanto la pressione del fluido di poro p è maggiore di 1/2 Sz.
In questa visione diviene evidente che all’insorgere delle energie sismo eruttive, determinate dall’incontro delle masse magmatiche con lo strato acquifero superficiale, si verificano le condizioni di cc cra¬ cking » in un intorno più o meno esteso del punto di scoppio (fuoco), dove le pressioni sviluppate sono considerevolmente maggiori di quelle minime occorrenti.
La conseguente riduzione di porosità è condizionata dalla velo¬ cità con cui l’acqua può defluire dal volume interessato al cracking e quindi dalla permeabilità del mezzo ad esso circostante. Da ciò discende che, in conseguenza della esplosione, si verifica un feno¬ meno di accelerata consolidazione, quindi una contrazione di volume nello spazio interessato al cc cracking » e conseguentemente il collasso delle zolle sovrastanti. Questo collasso non può avvenire repentina ■
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mente ma si determina dopo un certo tempo durante il quale hanno luogo le manifestazioni eruttive.
Infatti durante il periodo in cui ha luogo il processo di ac¬ celerata consolidazione entro il volume interessato al cracking le masse magmatiche hanno ancora la possibilità di procedere verso l’alto, fintantoché la consolidazione stessa ed il conseguente ingol¬ famento chiudono alla base dello strato superficiale il camino vul¬ canico determinando, pertanto, la fine del ciclo eruttivo mentre le successive ridotte manifestazioni sono dovute alle masse magmatiche rimaste isolate nella parte superficiale del condotto.
In una visione più generale il collasso può verificarsi anche per un fenomeno di accelerata subsidenza provocata dalla consoli- dazione di strati acquiferi confinati, più o meno estesi e profondi, a causa della rottura dei confini.
Questo potrebbe spiegare il fenomeno di lento abbassamento che a volte si presenta in occasione di fenomeni sismoeruttivi, come alla baia di Kagoshima (Mogi, 1958).
Poiché il verificarsi del fenomeno dipende oltre che dalla entità dell’energia sviluppata al fuoco, dalla natura (cioè dalle caratteri¬ stiche reologiche del mezzo), dallo spessore nonché dalla estensione dello strato impregnato, può ritenersi giustificata la grande variabi¬ lità della forma e dimensione delle cavità vulcaniche. (H. Williams, 1942; G. Imbò, 1949; H. Kuno, 1953; A. Scherillo, e al., 1965; H. R. Blanch, 1966; T. Simkin and al.. 1968).
Va aggiunto che forme crateriche possono risultare anche indi- pendenti da agenti vulcanici, in quanto una fenomenologia analoga può verificarsi in strati porosi impregnati di fluido, in conseguenza di terremoti di notevole intensità. In particolare, in occasione di questi, si può determinare anche il fenomeno della cc liquefazione », o fluidificazione del suolo. (Richter, 1958; Reimnitz et Marschall. 1965; Ambraseys e Sarma, 1969). Durante i terremoti l’effetto di un treno d’onda trasversale di notevole ampiezza, contenenti un gran numero di oscillazioni, causando un accumulo nella pressione di poro, può dar luogo ad un aumento di questa ultima fino al rag¬ giungimento dello sforzo effettivo agente nel mezzo, causando per¬ dita di tenacità e di rigidità di uno strato acquifero cui consegue la formazione di avvallamenti o vere e proprie buche di varia estensione.
Ancora fenomeni analoghi, generalmente di piccola entità, pos-
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sono verificarsi per il raggiungimento dello sforzo critico da parte della pressione di gas, di qualunque provenienza, accumulati in zolle altamente porose confinate al tetto.
È interessante notare che è possibile correlare l’entità dei vo¬ lumi collassati con quella delle energie sviluppate nella zona di contatto del magma con lo strato acquifero, in quanto queste energie devono ritenersi proporzionali a quelle sviluppate alla bocca dei vulcani.
Sembra opportuno sottolineare che le aree vulcaniche sono ge¬ neralmente interessate da minimi gravimetrici dovuti alla bassa den¬ sità dei prodotti superficiali accumulati (LafEHEr, 1965; Yokoyama, 1966; Oliveri Del Castillo, 1966; Bonasia e Gliveri, 1968) e quindi indice di una relativamente alta porosità. È altresì sintomatico il fatto che le forme crateriche, di qualunque dimensione, molto fre¬ quentemente sono occupate da bacini idrici. Infine va sottolineato che le forme crateriche che affacciano sul mare sono normalmente svasate nella direzione di questo e cioè nella direzione verso cui gli strati vulcanici, in relazione alla modalità di deposizione dei prodotti effusi o eiettati, sono maggiormente imbibiti.
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Boll . Soc. Natur. in Napoli
voi. 79 , 1970 , pp. 59-76, 1 fig., 4 tavv.
Segnalazione di una rrsicrobiofacies permiana, probabilmente rimaneggiata, nella formazione di M. Facile (Lucania occidentale)
Nota dei soci G. DONZELLI (*) e U. CRESCENTI (**)
(Tornata del 24 aprile 1970)
Riassunto. — Nell’area di affioramento della formazione di M. Facito (mem¬ bro inferiore), riconosciuta come la più antica unità stratigrafica appartenente alla serie caleareo-silico-marnosa lucana, è stato rinvenuto un campione contenente una microbiofacies permiana non assimilabile ad alcun altro reperto paleontologico finora segnalato nell’ Appennino meridionale.
Date le caratteristiche flyseioidi del sedimento in cui è stato raccolto il cam¬ pione è probabile che i fossili descritti siano stati interessati da un rimaneggia¬ mento intraformazionale o extraformazionale. Pur avendo le forme riscontrate una sicura collocazione stratigrafica, non si può dire altrettanto per la formazione che le contiene, la cui età potrebbe oscillare dal Permiano al Trias medio.
Summary. — One sample containing a Permian microbiofacies has been found in thè lower member of thè Facito formation, which lies under thè pelagic siliceous-lime-marly sequence of thè Western Lucania region (Southern Appennines). This Permian association was not before known in thè above mentioned area. The fossils are probably reworked and a permian age for thè Facito formation in questionable.
Premessa
La presente nota è frutto della collaborazione fra i due autori : G. Donzelli ha eseguito i rilievi di campagna e ha curato la parte geologica del testo, U. Crescenti ha eseguito lo studio dei numerosi campioni raccolti e ha redatto le note micropaleontologiche.
(*) Pescara, via Trento.
(**) Istituto di Geologia, Facoltà di Scienze, Università di Perugia.
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Ringraziamo la Società Montecatini Edison, in particolare Ring. P. L, Salle, direttore della Divisione Minerali e Metalli, per l’auto¬ rizzazione a pubblicare questo lavoro.
Introduzione
Nella Lucania occidentale affiora estesamente, fra la zona di San Fele e quella di Lagonegro, la serie ceno-mesozoica pelagica della facies calcareo-silico-marnosa .
La successione stratigrafica di questa serie è la seguente, dall’alto al basso :
1 — Flvsch marnosi-calcarei-arenacei e « argille scagliose » - Mio¬
cene, Paleogene, Cretaceo.
2 — Formazione galestrina : alternanze argillitiche e calcaree -
Cretaceo.
3 — « Scisti silicei » - Giurassico.
4 — Calcari e dolomie con selce - Giurassico p.p. - Triassico
superiore.
5 — Formazione di M. Facito.
La formazione di M. Facito è stata introdotta solo di recente da Scandone (1965) che ne ha definito la posizione stratigrafica che noi sottoscriviamo. Con la formazione di M. Facito che è essenzial¬ mente costituita da termini terrigeni, sono associate le bioherme di Abriola, identificabili con i calcari di scogliera di Lagonegro segnalati da De Lorenzo (1892, 1893, 1894, 1896, ecc). Oltre a De Lorenzo, che riferisce al Trias medio-superiore l’età dei calcari di scogliera, altri autori si sono di recente occupati di questi terreni: Azzaroli (1962) e Luperto (1963, 1965a, 1965b) riferiscono al Permiano le bioherme di Abriola; Scandone (1963, 1964, 1965, 1967) e Scandone - De Capoa (1966) concordano invece con De Lorenzo e attribuiscono al Trias medio-superiore non solo le scogliere ma anche i termini ter¬ rigeni della formazione di M. Facito che con esse si associano.
A prescindere dai problemi di datazione relativi alla parte supe¬ riore della formazione di M. Facito cui sono associati i calcari di Abriola, per i quali si rimanda agli autori citati, viene ora segnalata la presenza di una associazione microfossilifera permiana diversa da quelle presenti nei livelli più alti e finora mai citata nè in questa, nè in altre formazioni dell’ Appennino meridionale.
TAV. I — Carta geologica della zona di M. Facito.
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Il campione contenente i fossili permiani (Fusuline, ecc.) è stato raccolto nell’area di affioramento di un complesso flyschioide arenaceo- argilloso presente sul versante nord-occidentale di M. Facito e costituente il membro inferiore o una facies particolare della formazione omonima. Questa, sia per la sua posizione stratigrafica, sia per il contenuto fos¬ silifero, risulta per ora l’unità stratigrafica più antica affiorante nello Appennino meridionale.
Inquadramento geologico
Prima di esporre per esteso le notizie geologiche che seguono, anticipiamo, per maggior chiarezza del testo, la successione stratigrafica nelle zone di affioramento della formazione Facito, dall’alto al basso:
1 — Calcari o dolomie con selce.
2 — Formazione di M. Facito: membro superiore.
2a — Calcari biohermali di Abriola, associati all’unità precedente.
3 — Formazione di M. Facito: membro inferiore, o facies
particolare.
Come abbiamo detto, la formazione di M. Facito, generalmente associata nella sua parte superiore alle scogliere di Abriola e Lagonegro, affiora estesamente nella provincia di Potenza : fra Tito, Satriano di Lucania e Marsico Nuovo, nei dintorni di Abriola, in minori lembi a Nord, NE, e Sud di M. Arioso, in un piccolo affioramento al nucleo dell’anticlinale di M. Crocetta (a Sud di Pignola), in piccoli lembi a Nord, Sud e SSE di M. Volturino, fra Moliterno e Tramutola, nei pressi di Castelsaraceno e nel vasto territorio fra Moliterno, Lagonegro e Rivello. Questa formazione, in cui figurano caratteristiche argilliti, siltiti e diaspri dagli accesi colori rossi, violacei e verdi, può essere ed è stata talora confusa con « argille scagliose » e flysch postcretacei o con « scisti silicei ». Viceversa laddove le condizioni strutturali e le esposizioni lo permettono, è sempre stato da noi riconosciuto il pas¬ saggio stratigrafico continuo e concordante con la sovrastante forma¬ zione dei calcari e dolomie con selce. Si veda anche ScandoNE, 1964, ecc.
La litologia della formazione di M. Facito è piuttosto varia: una netta differenziazione fra i termini prevalentemente pelitici varicolori della parte stratigraficamente più alta e la monotona sequenza arenacea- argillo-siltosa della parte inferiore, permettono di distinguere un mem¬ bro superiore da un membro inferiore. È possibile che quest’ultimo co-
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stituisca solo una facies particolare locale, osservata finora solo sul versante NO di M. Facito.
Formazione di M. Facito - membro superiore e calcari di Abriola
Le argilliti scagliettate rosse, violacee, grige, nere e verdi sono il tipo prevalente e più caratteristico del membro superiore; ad esse si associano diaspri e ftaniti, calcari a grana fine più o meno selciosi, siltiti fini, calcari con liste di selce, marne, calcareniti, ecc. tutti tipi a stratificazione sottile, media o scagliettati. Scendendo nella serie la grana delle rocce aumenta progressivamente con la maggior frequenza di siltiti e la comparsa di arenarie micacee.
Il passaggio con la soprastante formazione dei calcari con selce, si svolge nel giro di alcuni o poche decine di metri di serie, mediante progressiva sostituzione dei tipi litologici caratteristici delle due unità.
Associati con il membro superiore della formazione di M. Facito, che è poi quello più largamente affiorante, sono i calcari di Abriola. Scandone (1963, 1964, 1965) dimostra che la connessione tra i due termini è stratigrafica, almeno originariamente (anche se in seguito il rapporto è stato in genere tettonizzato) e, a sostegno della sua interpre¬ tazione, cita la coevità e spesso identità delle faune rinvenute nei cal¬ cari di Abriola e nei terreni inglobanti, e la presenza di brecce mar¬ ginali alle scogliere, attestanti il legame stratigrafico tra le due unità ; considera cioè i calcari di Abriola come « patch reefs » isolati nel sedi¬ mento terrigeno circostante.
Anche le osservazioni di campagna da noi compiute ci portano a concordare con le conclusioni di Scandone. Una situazione molto probante si riscontra per esempio in località Feliceto (angolo SE della tav. Tito 199-IV-SE), dove le scogliere di Abriola in ammassi stratoidi sono chiaramente intercalate e in evidente contatto stratigrafico con le argilliti varicolori della facies terrigena della formazione di M. Fa¬ cito. Questa precisazione è di notevole importanza per una messa a punto della stratigrafia e tettonica della regione, perché ad un primo esame le scogliere di Abriola sembrerebbero masse esotiche alloctone nella formazione di M. Facito.
Numerosi campioni da noi raccolti sia nelle calcareniti della for¬ mazione di M. Facito che nei calcari di Abriola, si sono rilevati fossi¬ liferi; comunque rimandiamo a Scandone (1964, 1965), a Scandone-
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De Capoa (1966) e a Luperto (1963, 195a, 1965b), per una esau¬ riente descrizione di micro e macrofaune e per le datazioni sostenute.
F orinazione di M. Facito - membro inferiore
Sul fianco occidentale e settentrionale di M. Facito, 3 km a SE dell’abitato di Sasso di Castalda, su un’area di 2-3 Kmq, affiora, nel nucleo di una struttura anticlinale, quella che sembra essere la parte più antica della formazione. Vi scompaiono le argilliti e selci varico¬ lori e la litologia è rappresentata da una monotona successione di quar- zareniti grigie, profondamente alterate e ocracee esternamente, a grana media e omogenea, apparentemente non gradate, talora con impronte di fondo, dure e ben cementate, con frattura poliedrica e scheggiosa, in strati spessi da pochi centimetri a qualche decimetro, alternate con siltiti e argille marnose siltose, grige e nocciola. Nella parte settentrio¬ nale dell’affioramento, la serie si fa meno arenacea : prevalgono argille marnose siltose grigie, marne argillose giallastre e marne grigie indu¬ rite, mentre le quarzareniti sono più rare e più sottilmente stratificate.
L’insieme delle caratteristiche lito-sedimentologiche, fa ritenere che il complesso arenaceo-argilloso inferiore della formazione di M. Facito sia identificabile in un flysch, che potrebbe essere l’ultimo episodio sedimentario legato a un orogenesi ercinica attiva nel tardo Paleozoico nell’area tirrenica meridionale.
L’assenza dei tipi litologici caratteristici del membro superiore e delle bioherme di Abriola, e una certa somiglianza con altri flysch miocenici diffusi nell’ Appennino meridionale ci aveva messo sull’av¬ viso che questi affioramenti potessero appartenere a serie più recenti, in finestra tettonica sotto la serie calcareo-silico-marnosa eventualmente in falda. Sono stati perciò esaminati con particolare cura i contatti e raccolti numerosi campioni.
I contatti fra il membro inferiore e superiore, sono generalmente mascherati da frane, ma dove gli affioramenti sono migliori, mostrano un passaggio abbastanza netto fra i due termini, che si presentano in concordanza stratigrafica. Specialmente lungo il fosso che scende a OSO del punto trigonometrico q. 1359 di M. Facito (ved. Tav. 1 e 2), la serie arenacea-argillosa mostra, lungo affioramenti quasi continui, un assetto tettonico abbastanza regolare ad anticlinale con asse NO-SE. Sulla gamba sud-occidentale gli strati arenacei-argillosi si immergono prima con pendenze di l5°-25°, poi più a SO, con forti pendenze di
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50°-70°, vanno ad immergersi sotto le argilliti, le siltiti e le selci rosse e verdi tipiche del membro superiore, che con concorde assetto struttu¬ rale vengono a loro volta ricoperte dalla serie di dolomie e calcari con selce, costituenti il dosso di q. 1021 fra Mass. Margaglione e Mass, del Conte Gaetani. La serie dei calcari e dolomie con selce pur con Finter- posizione di abbondanti argilliti rosse, verdi e nere, e quindi con facies particolare, affiora poi tutta sulle pendici orientali del vicino M. di Ti- gliano. I rapporti illustrati, si mantengono con maggiore o minore evi¬ denza in tutta l’area di M. Facito.
Abbiamo infine raccolto, sia nelle argille che nelle quarzareniti, 80 campioni che si sono rivelati tutti assolutamente sterili, tranne il re¬ perto con microfossili permiani oggetto della presente nota.
L’esame quindi dei contatti fra i due membri della formazione di M. Facito e lo studio dei campioni, non ci autorizza a porre una super¬ ficie di natura tettonica (1) nè trasgressiva fra le due unità e ci induce invece a ritenere che i due complessi facciano parte di una stessa forma¬ zione di età compresa fra il Permiano e il Trias medio-superiore.
Possiamo citare l’eventualità che il membro inferiore rappresenti una locale parziale variazione di facies del membro superiore. Infatti, nel fosso che scende a OSO di M. Facito, i cui affioramenti sono stati sopradescritti, la potenza del membro superiore si aggira sui 250 metri, mentre sembra strano che nei pur estesi affioramenti di quest’unità con uno spessore verosimilmente maggiore di 250 metri, non comoaia altrove la facies arenaceo-argillosa del membro inferiore. A M. Facito il complesso arenaceo-argilloso mostra uno spessore affiorante di circa 200 metri.
Se dobbiamo quindi prestar fede alle conclusioni che sembrano trarsi dagli accurati controlli di campagna, il rinvenimento della mi¬ crofauna permiana qui segnalata porta un prezioso contributo alla da¬ tazione della più antica formazione finora accertata in affioramento del- FAppennino meridionale, datazione che dal Trias medio potrebbe dubi¬ tativamente spingersi in basso fino al Permiano.
La posizione tettonica di questa formazione e di tutta la successiva serie calcaro-silico-marnosa lucana è di interpretazione molto difficile.
(1) Scandone (1965, nota a piè pagina 312) cita un flysch arenaceo non da¬ tabile, affiorante sul versante occidentale di M. Facito, che dovrebbe indubbiamente identificarsi con il nostro membro inferiore, che però ritiene sottoposto tettonica- mente al membro superiore. Analogo concetto è sostenuto dallo stesso autore nel successivo lavoro sulla geologia della serie calcareo-silico-marnosa lucana (Scandone, 1967, pagg. 404-405).
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Scandone nel suo ultimo esauriente lavoro di respiro regionale (1967) propende per un’alloctonia molto spinta di tutta la serie, in cui rico¬ nosce anche resistenza di due falde sovrapposte. Le sue argomentazioni sono spesso ben documentate e plausibili.
Alcuni fatti però, come l’ordine e le simmetrie tettoniche rispet¬ tate dalle strutture degli « scisti silicei » quali risultano dai rilievi di dettaglio da noi eseguiti, la conservazione generalmente ordinata dei rapporti stratigrafici fra i singoli termini della serie, e l’assenza di af¬ fioramenti di questa serie nelle aree tirreniche a SO della catena cal¬ carea ( Cilento), sono elementi che potrebbero sostenere se non un’autocto- nia improbabile o una parautoctonia, almeno un’alloctonia meno spinta. Si potrebbe cioè pensare che la serie calcareo-silico-marnosa lucana abbia conservato i primitivi rapporti paleogeografici fra la serie calcarea me¬ sozoica in facies di piattaforma dell’ Appennino meridionale (sovrascorsa sulla serie lucana) e l’analoga e coeva serie dell’avampaese pugliese.
Ubicazione del campione contenente la microbiofacies permiana
Il campione in cui si è rinvenuta la microbiofacies permiana è stato prelevato nel fosso che scende verso OSO dal punto trigonometrico, q. 1359, di M. Facito, proprio al confine fra le tavolette I.G.M. 199, IL NO - Marsico Nuovo e 199, III, NE - Brienza, a q. 1250 circa. Si tratta di una breeeiola-calearenite grigio scura, contenente frammenti di selce, associata ad argille grige.
Dobbiamo subito avvertire che il campione non è stato prelevato da uno strato direttamente affiorante, ma staccato da alcuni trovanti sul. fondo del fosso. Tutt’intorno però vi sono solo affioramenti del membro inferiore arenaceo-argilloso della formazione di M. Facito. I terreni diversi più prossimi sono rappresentati dai tipi del membro su¬ periore. Si noti che il trovante era nel fondo di un piccolo fosso, privo di detrito, originantesi 200 metri più a monte subito sotto la cima di M. Facito che è il punto più alto della zona. Non vi sono quindi dubbi che il trovante appartenga al complesso arenaceo-argilloso o tutt’al più, notando che in tal complesso non sono mai stati rinvenuti strati di brecciole o calca reniti , presenti invece nel membro superiore, provenga per frana dai termini sovrastanti. Nell’un caso e nell’altro, dobbiamo considerare che il campione appartenga alla formazione di M. Facito in senso lato.
Il materiale studiato è depositato presso il laboratorio micropaleon-
tologico dell’Istituto di Geologia dell’Università di Perugia, con la de¬ nominazione IGP MI 0-19.
Note micropaleontologiche
Come è stato detto più sopra, durante lo studio micropaleontolo¬ gico della formazione di M. Facito, è stato riscontrato un campione con un’associazione microfossilifera molto interessante.
Anche se per ora non abbiamo potuto eseguire uno studio molto dettagliato, abbiamo ugualmente ritenuto opportuno darne comunica¬ zione e documentazione fotografica trattandosi di una tanatocenosi del tutto nuova per l’ Appennino meridionale.
Si tratta infatti di una ricca associazione ad abbondanti Fusulinidi e altri foraminiferi ed Alghe quasi tutti finora mai segnalati nella let¬ teratura paleontologica di questa regione.
Abbiamo esaminato numerose sezioni sottili del campione in og¬ getto. Al microscopio abbiamo riscontrato due principali tipi litologici : una brecciola compatta a prevalenti frammenti calcarei e rari di selce, organogena, con poco cemento per lo più calcitico spatico ; una calca- renite ad abbondante cemento calcitico spatico, inglobante frammenti calcarei ed abbondanti microfossili. Questi ultimi risultano legati alla grana della roccia : le forme più grandi prevalgono nella brecciola. le altre nella calcarenite. Tra questi due tipi litologici fondamentali esi¬ stono tutti i termini intermedi. Tutto ciò concorda per una deposizione per torbida del sedimento, in armonia con le osservazioni di campagna.
È indubbio perciò che la tanatocenosi del campione esaminato è affetta da rimaneggiamento, come potrebbe probabilmente dimostrarsi con uno studio dettagliato dei Fusulinidi presenti.
Si tornerà più sotto sull’argomento, nella discussione sull’età del campione.
I microfossili determinati sono :
Alghe : V ermipor ella nipponica F,ndo, V. nipponica longipora
Praturlon, Gymnocodiaceae.
Foraminiferi: Agathammina , Ammodiscus , Fusulinidi , Globivalvuli-
na, Glomospira , Lunucammina , Pachyphloia lanceo¬ lata, Mikluklo-Màklay, Pachyploia aff. paraovata maxima M.-Maklay, Palaeotextularia, Textularia , Tu- beritina.
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Sono pure presenti forme dubitativamente riferibili a Colaniella ussuriensis (Losmina), Hemidiscus, He- migordius , Lasiodiscus.
Incertae Sedis : T ubiphytes.
Sono presenti, infine, frammenti di Biozoi e di Echinidi.
Alcune sommarie considerazioni sulle forme determinate.
Alghe
Vermiporella nipponica Endo ( Tav. Ili, fig. 6). Sono stati riscontrati solo rari frammenti riferibili a questa forma, secondo le recenti precisazioni di Praturlon (1963). Finora questa specie è stata segnalata nel Permiano medio e superiore di vari paesi stranieri ; in Italia è nota nel Permiano superiore delle Dolomiti ( Pratur¬ lon, 1963).
Vermiporella nipponica longipora Praturlon. Rarissimi frammenti con i caratteri della subspecie distinta da Praturlon (1963). Questo A. cita questa forma nel Permiano superiore delle Dolomiti.
Gymnocodiaceae. Abbiamo riscontrato rari piccoli frammenti, a tallo calcitico cristallino, giallino, su cui non ci siamo sentiti sicuri per un’attribuzione dettagliata. Ricordano però molto da vicino il gen. Gymnocodium Pia. Questo genere è noto nel Permiano e nel Trias (Johnson, 1954).
Foraminiferi
Risultano molto frequenti, con grande varietà di generi. Nella determinazione delle varie forme abbiamo tenuto conto della recente classificazione di Loeblich-Tappan (1964), cui rimandiamo per la bi¬ bliografia dei generi qui citati.
Agathammina. Abbiamo notato scarsi esemplari riferibili a questo ge¬ nere, in quanto caratterizzati da plasmostraco calcareo imperforato, costituito da proloculo seguito da unica loggia tubulare indivisa, avvolta non planispiralmente attorno ad un asse. Il genere è noto nel Carbonif ero-Permiano, e dubitativamente nel Trias e Giura (Loeblich e Tappan, 1964).
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Ammodiscus. Rarissimi esemplari, di piccole dimensioni: plasmostraeo agglutinante, discoidale, proloculo seguito da unica loggia tubulare, indivisa, avvolta planispiralmente . Il genere è noto dal Siluriano al Recente (Loeblich e Tappan, 1964).
Fusulinidi. ( Fig. 1 e tavv. IIX-IV). Sono molto frequenti. Abbiamo in¬ dicato così (con Pasini 1965) tutte le forme da noi riscontrate e appartenenti all’Ordine Fusulinida Miklukho-Maklai, Rauser-
Fig. 1. — Fusulinide. x 20. Camp. IGP-M 15
Cernoussova & Rozovskaja (1958). Da un esame sommario, come risulta dalle illustrazioni qui riportate, sono presenti più generi. Ci riserviamo in futuro di eseguire uno studio dettagliato. Notiamo che spesso le varie forme presenti, sopratutto quelle di maggiori dimensioni e che riscontriamo nelle brecciole, risultano rotte, ridotte in frammenti, o comunque erose ; rari sono gli esem¬ plari integri. Per le forme più piccole, presenti nelle calcareniti. si hanno invece in genere esemplari completi.
Globivalvulina (Tav. IV, fig. 3). Molto rara. Possediamo solo sezioni tangenziali, in cui abbiamo potuto notare che la parete del pia-
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smostraco è calcarea microgranulare, internamente rivestita lungo i setti da uno strato calcitico fibroso ben evidente. Il genere è noto nel Pennsilvaniano Superiore-Permiano (Loeblich & Tap¬ pa*, 1964).
Glomospira. Abbiamo notato rari esemplari attribuibili a questo genere che, come è noto, è caratterizzato da plasmostraco agglutinante, costituito da proloculo seguito da unica loggia tubulare con avvol¬ gimento streptospirale o irregolare. Il genere è noto dal Siluriano al Recente (Loeblich & Tappa*, 1964).
Lunucammina (= Geinitzina). (Tav. Ili, fig. 7). Sono presenti rari esemplari appartenenti a questo genere.
Il genere è noto dal Devoniano superiore al Permiano ( Loeblich & Tappan, 1964).
Pachyphloia lanceolata Miklukhq-Maklay. (Tav. IV, fig. 4). Posse¬ diamo rari esemplari riferibili a questa specie. I motivi che ci hanno indotto a questa attribuzione sono : i nostri esemplari hanno dimensioni che rientrano nei limiti dati dell’A. (1954), in parti¬ colare per l’esemplare figurato nella tav. IV si ha una lunghezza di mm. 0,43 ed una larghezza di mm. 0,15 (le misure riportate dall’ A. sono rispettivamente di mm. 0,29-0, 85 e mm. 0,12-0,26); il numero delle logge, compreso il proloculo, è 9 ( M.-Maklay 1954 riporta logge variabili in numero da 6 a 12); la forma generale del plasmostraco è a lancia ; il proloculo è sferico, più grande della seconda loggia ; le logge sono regolarmente crescenti in dimensione fino alla quinta, poi risultano poco differenti ; il plasmostraco raggiunge il massimo spessore nella sua parte mediana.
Questa specie è stata definita nel Permiano superiore del Caucaso settentrionale ( Miklukho-Maklay, 1954).
Pachyphloia aff. paraovata maxima Miklukho-Maklay (Tav. IV, fig. 2). Alcuni nostri esemplari si avvicinano a questa forma di M.-Ma- KLAY ma ne differiscono per dimensioni un poco diverse. In parti¬ colare l’esemplare figurato nella tav. IV ha larghezza di mm. 0,225 e lunghezza di mm. 0,625, mentre le forme di M.-Maklay variano rispettivamente entro valori di mm. 0,28-0,45 e mm. 0.5-0, 8. La forma generale del plasmostraco è però simile, ovale ; così analogo è il numero delle logge ( 9 più proloculo, per le forme russe 5-9 \ e il proloculo è ugualmente appuntito.
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Miklukho-Maklay ( 1954) ha definito questa forma nel Per¬ miano superiore del Caucaso settentrionale.
Palaeotextularia (Tav. Ili, fig. 8). Abbiamo riferito a questo genere alcuni nostri esemplari che hanno plasmostraco biseriale con parete costituita chiaramente da due strati : uno esterno calcareo granu¬ lare ed uno interno calcitico fibroso.
Il genere è noto dal Carbonifero al Permiano (Loeblich & Tap- pan, 1964).
Textularia. Un solo esemplare, con plasmostraco agglutinante, biseriale. Il genere è noto dal Pennsilvaniano al Recente (Loeblich & Tappan, 1964).
Tuberitina (Tav. Ili, fig. 1). Abbiamo riscontrato diversi esemplari per
10 più in frammenti, riferibili a questo genere. Risultano caratte¬ rizzati da pareti del plasmostraco calcareo-granulari, finemente per¬ forate ; camere bulbose.
11 genere è noto dal Devoniano superiore al Carbonifero superiore (Loeblich & Tappan, 1964).
Incertae sedis
Tubiphytes (Tav. IV, f igg. 5 e 6). Abbiamo riscontrato frequenti forme del tutto corrispondenti alla descrizione e alle figure di El~ liot (1962).
Da questo A. si ricava che Tubiphytes è stato sopratutto segnalato nel Permiano ; raramente nel Pennsilvaniano.
Considerazioni sull’età del campione
Dai dati riportati nel paragrafo precedente, risulta in modo abba¬ stanza evidente che il campione studiato è da attribuire al Permiano. Le forme più significative per tale datazione risultano essere Vermipo- rella nipponica e la corrispondente subspecie longipora , Pachyphloia lan¬ ceolata oltre a Globivalvulina, Lunucammina , Palaeotextularia, Tuberi¬ tina, Tubiphytes e naturalmente ai frequenti Fusulinidi osservati.
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Tutte le altre forme danno scarse indicazioni di ordine cronologico. La tanatocenosi osservata, come più sopra detto, è verosimilmente af¬ fetta da rimaneggiamento. Riteniamo che uno studio accurato dei Fu- sulinidi potrà permettere forse di definire l’entità di tale rimaneggia¬ mento. Ci sembra però che i dati finora a disposizione diano sufficienti garanzie per attribuire al Permiano, probabilmente medio-superiore, il campione esaminato, mancando elementi per un ulteriore ringiovani¬ mento dell’associazione microfossilifera riscontrata. Mancano infatti, sia tra le Alghe che tra i foraminiferi, le forme sicuramente triassiche che, come si dirà fra poco, caratterizzano le scogliere calcaree comprese nella formazione Facito.
Ad ogni buon conto è certo che la tanatocenosi del campione qui esaminata è paleozoica ; pertanto la sua provenienza non può che deri¬ vare da sedimenti di tale età.
Sulla natura del deposito di provenienza dei microfossili citati, siamo concordi nel pensare ad un sedimento sostanzialmente carbona- tico. Infatti il materiale che costituisce il campione studiato è in mas¬ sima parte calcareo, fatta eccezione per i piccoli frammenti di selce presenti nella parte più grossolana (brecciola).
Inoltre i microfossili riscontrati sono quasi sempre legati solo a sedimenti calcarei (Alghe, Fusulinidi, Tubiphytes, e la maggior parte degli altri Foraminiferi citati).
Non è possibile precisare l’ambiente di sedimentazione di questi calcari, sopratutto perché a tutt’oggi non si hanno idee definitive sulla ecologia dei Fusulinidi (Pasini 1965). È probabile però che essi fac¬ ciano parte di una originaria zona di « transizione esterna ». In tal modo ci si spiegherebbe anche la presenza dei citati frammenti di selce.
Non sono noti finora, per tutto l’Appennino meridionale, depositi paleozoici con caratteri micropaleontologici paragonabili a quelli del campione da noi studiato. È impossibile perciò formulare la benché minima ipotesi sull’area di sedimentazione della eventuale zona di « tran¬ sizione esterna » sopradetta.
Le scogliere calcaree presenti nel membro superiore della forma¬ zione di M. Facito non hanno i caratteri micropaleontologici sopra ri¬ portati. Mancano assolutamente forme paleozoiche come Tuheritina, Fu¬ sulinidi, Vermiporella nipponica e subspecie longipora. In alcune inoltre sono presenti fossili sicuramente triassici (De Lorenzo 1896, Scan- done & De Capoa 1966).
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Noi stessi in campioni raccolti nelle scogliere affioranti presso località Schiena Rasa (Tavoletta Tito, 199, IV, SE) e presso Madonna del Sasso (Tavoletta Pignola, 199, I, SO) abbiamo riscontrato forme ladiniche quali Teutloporella nodosa Schafhautl e Diplopora annulata SCHAFHAUTL.
Le microfaune attribuite al Permiano di Abriola (Azzaroli 1962, Luperto 1963) sono state da Scandone (1965) riferite al Trias.
Queste microfaune non presentano caratteri avvicinabili a quelli del campione da noi studiato, come pure ci risulta dallo studio diretto dei campioni raccolti nei calcari biohermali affioranti nei pressi del¬ l’abitato di Abriola.
OPERE CITATE
Azzaroli A. (1962) - Affioramento di calcare permiano presso Abriola . Boll. Soc. Geol. It., 81 (1), 85-86.
De Lorenzo G. (1892) - Sul Trias dei dintorni di Lagonegro in Basilicata. Rend. Acc. Se. Fis. e Mat., ser. 2, 6, 186 pp.
De Lorenzo G. (1893) - Sul Trias dei dintorni di Lagonegro in Basilicata ( piano Cantico e piano Juvavico di Mojsisovics) . Atti Acc. Se. Fis. e Mat., ser. 2, 5(8), 48 pp., 26 ff.
De Lorenzo G. (1894) - Le montagne mesozoiche di Lagonegro. Atti Acc. Se. Fis. e Mat., ser. 2, 6(15), 1-124, 2tt., 84 ff.
De Lorenzo G. (1896) - Fossili del Trias medio di Lagonegro. Palaeont. Ital., 2, 113-148, 6 tt.
Elliot G. F. (1962) - More microproblematica from thè Middle East. Micropai., 8 (1), 29-44, 6 tt.
Johnson J.H. (1954) - An introduction to thè study of rock building Algae and algol limestone. Quart. Colorado School of Mines, 117 pp., 42 tt.
Loeblich A. R. & Tappan H. (1964) - Foraminiferida (in Treatise on Invertebrate Paleontology, edited by R. C. Moore).
Luperto E. (1963) - Nuovo genere di foraminifero nel Permiano di Abriola (Po¬ tenza). Boll. Soc. Pai. Ital., 2, 83-88, I2f., 3 tt.
Luperto E. (1965a) - Foraìniniferi del « Calcare di Abriola » (Potenza). Boll. Soc.
Pai. It., 4 (2), 161-207, 10 ff., tt. 7-34, 1 tab.
Luperto E. (1965b) - Sezioni di forme nodosaroidi permiane del « Calcare di Abriola » ( prov . Potenza , Appennino meridionale). Boll. Soc. Pai. It., 4 (2), 208-215, 3 tt. Mikluklho-Maklay A. D., Rauzer-Chernousova D. M. & Rozovskaya S. E. (1958) - Sistematika i filogeniya fusulinidev. Voprosy Mikropaleontologii, 2, Akad. Nauk SSSR, Otdel, Geol. & Geogr. Nauk, 5-21, 2 ff.
Mikluklo-Maklay K. V. (1954) - Foraminifero of thè Upper Permian deposits of thè northern Caucasus. VSEGEI, Minist. Geol. i Okhrany Nedr., Moscow, 1-162, tt. 1-19, 3 tabb.
Praturlon A. (1963) - Dasycladaceae from Upper Permian of thè Dolomites (Italy). Geologica Romana, 2, 119-150, 3 ff-, 5 tt.
— 75 —
Pasini M. (1965) - FusulinidL. Una chiave analitica per la determinazione dei generi. Palaeont. ItaL, 108, pp., 18 tt.
Scandone P. (1963) - Marnoscisti ad Halobia in Lucania . Boll. Soc. Natur. Na¬ poli, 72, 207-212, It.
Scandone P. (1964) - Nota preliminare sui foraminiferi delle scogliere triassiche della Lucania. Boll. Soc. Natur. Napoli, 73, 267-269.
Scandone P. (1965) - Osservazioni su una località fossilifera a Brachiopodi nel La- dìnìco della serie calcareo-sìlico-marnosa lucana al M. Facito. Boll. Soc. Natur. Napoli, 74, 311-316, 2 tt.
Scandone P. (1967) - Studi di geologìa lucana % la serie calcareo-sìlico-marnosa e i suoi rapporti con V Appennino calcareo . Boll. Soc. Natur, Napoli, 76, 175 pp., 68 ff., 17tt.
Scandone P. & De Capoa P. (19661 - Sulla posizione stratigrafica e l’età dei livelli a Daonella e ad Halobia in Lucania. Boll. Soc» Natur. Napoli, 75, 30-39, 10 tt.
TAV. Ili
Fig. 1 — Tubertina, x 80 - Camp. IGP - M 18 » 2 — Fusulinide , x 30 - Camp. IGP - M 12
» 3 — Fusulinide, x 80 - Camp. IGP - M 14
» 4 — Fusulinide, x 45 - Camp. IGP - M 10
» 5 — Fusulinide, x 40 - Camp. IGP - M 12
» 6 — V ermiporella nipponica Endo. x 70 - Camp. IGP - M 10
» 7 — Lunucammina, x 75 - Camp. IGP - M 18 » 8 — Pseudotextularia, x 30 - Camp. IGP - M 18
Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1970
Donzelli G., Crescenti U. - Segnalazione di una microbio facies, eee. Tav, III
TAV. IV
Fig. 1 — Fusulinide, x 30 - Camp. IGP - M 17
» 2 — Pachyploia aff. paraovata maxima Miklukho - Maklay, x 70 - Camp. IGP - M 17
» 3 — Globivalvulina, x 50 - Camp. IGP - M 16
» 4 — Pachyphloia lanceolata Mikluklo - Maklay, x 70 - Camp. IGP - M 10
» 5 — Tubiphytes, x 40 - Camp. IGP - M 16
» 6 — Tubiphytes, x 60 - Camp. IGP - M 16
Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1970
Donzelli G., Crescenti U. di una microbio} acies, ecc .
Segnalazione Tav. IV
.
Boll. Soc. Natar. in Napoli voi . 79, 1970 , pp, 77-84, tabb. 2.
Osservazioni sulla pedofauna degli Astroni (Conca-cratere dei Campi Flegrei)
Nota del socio PIETRO BATTAGLINX
(Tornata del 29 maggio 1970)
Riassunto. — Nella presente nota l’Autore prendendo spunto da precedenti suoi lavori dà una descrizione della pedofauna degli Astroni caratterizzando i vari biotipi con i relativi reperti faunistici.
Summary. — In this note thè Author describes thè soil fauna of Astroni, an old vulcanic crater near Neaples. The relationships between environmental character and animai community of four biotopes are examined and discussed.
Introduzione.
La Conca-cratere degli Astroni, sita nei Campi Flegrei ad Ovest di Napoli, per la sua particolare conformazione e dislocazione è stata oggetto di ricerche faunistiche fin dal 1910. Risalgono a tale data i primi lavori inerenti la fauna degli Astroni, raccolti in un « Supplemento del¬ l’Annuario dell’Istituto e Museo di Zoologia della Università di Napoli » sotto la direzione ed il coordinamento di F. S. Monticelli.
Interessato da queste ricerche, che, pur spaziando da animali terre¬ stri epigei ed ipogei come Collemboli (Caroli E. 1912), Tardigradi (Della Valle, P. 1915), Isopodi (Arcangeli A., 1922), ad animali dulcacquicoli, dell’allora ampio laghetto, come Gastrotrichi (Marcolon- go I., 1912), Oligocheti (Pierantoni U., 1911), Rotiferi (Iroso I., 1913), Ciliati (Salvi L. 1915), Nematodi (De Cillis Onorato M., 1920), ebbero sempre intenti esclusivamente sistematici, ho voluto stu¬ diare la fauna del suolo di tale ambiente con criteri ecologici. In una prima nota (Battagline 1964) dopo aver discusso il problema della localizzazione delle zone di prelievo e dei metodi di raccolta, che hanno portato poi ad un susseguente lavoro (Battagline 1967a) di messa a punto di un metodo di raccolta, si riportavano i primi dati sulla pedo-
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fauna degli Astroni in un contesto di osservazioni ecologiche. Inoltre uno studio più approfondito dei taxa preponderanti degli Acari, Col- lemboli e Nematodi faceva vedere la loro interdipendenza con alcune proprietà pedologiche (Battaglini, 1967b).
L’attuale nota è stata originata dalla necessità di completare l’a¬ spetto faunistico di tale pedofauna. Saranno perciò definiti gli aspetti della distribuzione quantitativa e qualitativa delle specie e degli indivi¬ dui, le eventuali loro interdipendenze senza prescindere, ovviamente, dai loro legami con le condizioni ecologiche.
Descrizione dei biotopi.
Per lo scopo della presente nota sono stati presi in esame 4 biotopi scelti secondo un criterio altimetrico, andando dal ciglio fino al fondo del cratere (le differenze di altitudine vanno da circa 200 m. s/m, sul ciglio, a circa m. 9 s/m sul fondo), localizzati su isoipse di 50 m. e lungo un’unica verticale.
Per la descrizione e localizzazione particolareggiata dei singoli bio¬ topi si rimanda ai paragrafi I e II del lavoro già citato (Batta- glini, 1964).
Procedimenti e Metodiche.
I prelevamenti dei campioni di suolo sono stati effettuati in estate ed in inverno a scopo comparativo. Il prelievo estivo è stato fatto il 23/7/1964 per il biotopo 1 e il 6/9/1964 per i biotopi 2, 3, 4, la non contemporaneità è dovuta a cause contingenti ed inoltre i primi di set¬ tembre nelle nostre regioni si devono considerare ancora giorni di piena estate. Il prelievo invernale è avvenuto per tutti i biotopi il giorno 17/2/1965. Durante i prelievi si sono sempre cercate radure ove il suolo o era ricoperto da prato e quindi con erba fitta e piccole piante spontanee, quali il trifoglio, o nascosto dall’edera o tappezzato da una notevole lettiera, denunciante un ambiente meno ossigenato con evidenti segni di decomposizione organica ; a volte la vegetazione era fitta e in¬ tricata con abbondanza di rovi e altre arbustacee dalle potenti radici e sempre, comunque, con copertura del suolo abbondante. In genere si sono reperite grandi quantità di macroartropodi circolanti sul posto al momento dello scavo.
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Per la metodica di campionamento in campagna e di estrazione in laboratorio della fauna ci si è attenuti ad una metodica messa a punto dall’Autore (Battagline 1967a).
In laboratorio venivano anche effettuate tutte le ricerche pedologi¬ che necessarie alla caratterizzazione di ogni biotopo, ossia : umidità, pH, temperatura ambiente e per profondità, porosità, granulometria.
Ogni campione di suolo da utilizzare per lo studio faunistico era formato da un cilindro con un’area di base di cm2 63,58 e altezza cm. 12 pari ad un volume di cm3 76,29. La profondità massima a cui si è giunti è stata di 30 cm. Ovviamente di ogni campione di suolo si iden¬ tificavano i vari strati.
Risultati.
Gli animali rinvenuti nei 4 biotopi appartengono in genere agli stessi phyla (fenomeno logico in quanto tutti caratteristici dell’edaphon).
L’elenco completo degli animali identificati è riportato nella ta¬ bella I. All’elenco bisognerebbe aggiungere i Gasteropodi polmonati, dei quali però si segnala solo la presenza di gusci di piccolissime dimen¬ sioni ; ed il loro incontro negli strati inferiori si deve ritenere esclusiva- mente casuale, cioè per caduta dei soli gusci a seguito di rimozione del detrito e del terreno superficiale. Da segnalare ancora una certa quan¬ tità di Insetti pterigoti, anche negli strati inferiori, quali Coleotteri, Psocotteri, Mecotteri e Omotteri per lo più in piccolo numero tranne gli Psocotteri nel prelievo 23/7/64 del biotopo lei Coleotteri in quello 17/2/1965 del biotopo 3; come si nota tutti animali temporanei del suolo.
Dall’osservazione della tabella I si possono notare i taxa più fre¬ quenti, sia in tutti i biotopi che in tutti i prelievi : essi sono quelli degli Acari, Collemboli, Nematodi, Sinfili e Chilopodi ai quali si possono ag¬ giungere le larve dei Coleotteri, Lepidotteri e Ditteri. Questi gruppi co¬ stituiscono il complesso fondamentale della microfauna dell’edaphon. Il numero di individui appartenenti ad ognuno di tali taxa, registrato per un sol prelievo, è davvero notevole e raggiunge un totale di 1156 per gli Acari, 1067 per i Collemboli artropleoni, 119 per i Nematodi, 65 per le larve in foto e 41 per i Sinfili. Quest’ultimi sono presenti con i generi 5 cuti ger ella, e Scolopendrella ; i Chilopodi con Himantarium , Lithobius e Geophilus ; i Collemboli artropleoni con Tullbergia, Ony- chiurus , Folsomia e preponderatamente Isotoma o Isotomurus. Tra gli
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Acari gli Oribaditi predominano in modo assoluto seguiti dai Gamasidi con i generi Pergamasus , Pseudotritia, Oribotritia e Oppia.
TABELLA I
B. 1 |
B. 1' |
B. 2 |
B. 2' |
B. 3 |
B. 3' |
1 B. 4 ! |
B. 4' |
|
Nematodi |
52 |
41 |
12 |
22 |
119 |
79 |
62 |
25 |
Oligocheti |
— |
3 |
— |
1 |
7 |
8 |
19 |
42 |
Tardigradi |
— |
: _ |
2 |
1 |
1 |
— |
— |
1 |
Pseudoscorpioni |
2 |
— |
3 |
— |
— |
— |
— |
— |
Opilionidi |
— |
— |
10 |
— |
— |
1 |
— |
— |
Araneidi |
— |
— |
27 |
— |
4 |
— |
— |
— |
Acari |
I 158 |
822 |
1044 |
485 |
1111 |
1156 |
1104 |
1048 |
Isopodi |
j |
— |
— |
1 |
— |
— |
— |
— |
Sinfili |
1 |
8 |
20 |
3 |
7 |
41 |
15 |
7 |
Pauropodi |
— |
— |
5 |
1 |
6 |
— |
9 |
2 |
Diplopodi |
— |
— |
1 |
— |
— |
2 |
— |
— |
Chilopodi |
1 |
5 |
3 |
3 |
1 |
4 |
5 |
1 |
Proturi |
— |
7 |
11 |
4 |
8 |
18 |
2 |
9 |
Collemb. Artropl. |
578 |
245 |
1067 |
197 |
408 |
487 |
886 |
627 |
» Sinphipleoni |
— |
— |
— |
— |
10 |
5 |
— |
7 |
Tisanuri e Dipluri |
— |
1 |
3 |
— |
— |
— |
— |
1 |
Embiotteri |
— |
— |
— |
— |
— |
1 |
— |
— |
Psocotteri |
14 |
— |
— |
— |
— |
1 |
— |
1 |
Rincoti omotteri |
2 |
— |
— |
— |
— |
— |
— |
— |
Coleotteri |
— |
— |
5 |
— |
3 |
16 |
— |
2 |
Imenotteri |
1 |
— |
2 |
— |
— |
— |
— |
2 |
Mecotteri |
— |
1 |
3 |
2 |
— |
— |
— |
— |
Larve di Coleotteri |
3 |
2 |
13 |
1 |
2 |
12 |
12 |
3 |
» » Lepidotteri |
— |
1 |
5 |
— |
8 |
3 |
2 |
— |
» » Ditteri |
— |
1 |
7 |
2i |
57 |
65 |
46 |
17 |
Tab. I. — Abbondanza dei taxa nei vari biotopi. (N.B. : I biotopi con apice indicano i prelievi invernali).
Bisogna ancora aggiungere i Proturi con il genere Protentomon , rappresentato, sempre con qualche esemplare, in almeno uno dei due prelievi di ciascun biotopo. Infine, per completare la visione sistematica, tra gli Oligocheti costituiscono la quota parte più alta gli Erachitreidi.
— 81 —
Osservazioni e Discussione.
Innanzi tutto, dagli esami faunistici si è notato quanto sia diffe¬ rente la distribuzione della fauna nei quattro biotopi anche per le di¬ verse caratteristiche morfologiche e ambientali delle quattro stazioni di campionamento. Non si deve dimenticare che il cilindro di terra, rap¬ presentante la nostra unità campione faunistica, può racchiudere par¬ ticolari comunità o popolazioni animali formatesi proprio in quel punto come è elucidato dal numero davvero eccezionale di individui di un taxon in qualche biotopo. Inoltre la mancanza di alcuni gruppi tasso¬ nomici, come ad es. gli Isotteri, costituiscono una testimonianza dei li¬ miti ambientali e quindi faunistico-ecologici degli Astroni.
L’esame della tabella I fa notare che alcuni taxa sono presenti in uno o due biotopi e mancano negli altri. Così i Tardigradi sempre as¬ senti nel biotopo 1, gli Opilionidi che, come gli Araneidi, sono presenti solo nei biotopi 2 e 3; gli Isopodi che han dato un solo esemplare, nel prelievo invernale del biotopo 2, appartenente al genere Porcellio e i Collemboli sinfipleoni, infinitamente più rari degli Artropleoni, che sono presenti solo nel terzo e quarto biotopo.
Altra interessante osservazione è la particolare abbondanza degli Araneidi — terzi in ordine di abbondanza dopo Acari e Collemboli — nel biotopo 2 estivo, quasi del tutto assenti, in contrapposto, negli altri biotopi ; nonché quella degli Oligocheti nel biotopo 4 del prelievo 17/2/1965. Sono questi gli unici due casi in cui il terzo posto nella tabella dell’abbondanza non è occupato dai Nematodi.
L’osservazione qualitativa comparata delle comunità dei biotopi fa notare la notevole diversità faunistica presentata nel prelievo estivo del biotopo 2 da ben 19 taxa sui 25 trovati complessivamente nei 4 biotopi, il che dimostra un complesso di condizioni ecologiche locali che non hanno determinato una certa selezione. Come pure l’elevato numero di Nematodi nei due prelievi del biotopo 3 (119 e 79 individui rispetti¬ vamente) che può essere legato alla maggiore umidità contenuta nel terreno di questo biotopo. Relativamente elevato anche il numero (41) di Sinfili del genere Scutigerella nel prelievo 17/2 del biotopo 3 e il rinvenimento di numerosissime larve di Chironomidae nei biotopi 3 e 4 legate alla particolare umidità di tale biotopi durante il prelievo 17/2.
Un accenno va ancora fatto alla presenza di Psocotteri del genere Liposcelis con 14 esemplari nel prelievo estivo del biotopo 1 e di un solo esemplare nel biotopo 3 e 4 del prelievo 17/2. Infine vanno ricor-
6
82 —
dati i generi Sminthurus e Sminthurides tra i Collemboli sinfipleoni che sono relativamente numerosi ( 1 0 e 5 esemplari) nel biotopo 3 .
Continuando queste osservazioni vale accennare ai rapporti tra Acari e Collemboli che, costituendo anche il 90% e oltre della comu¬ nità di un biotopo e oscillando a volte entrambi intorno ad un migliaio di esemplari per prelievo (v. biotopi 3 e 4), manifestano una sorta di alternanza nella relativa distribuzione, nel senso che ove gli Acari sono molto numerosi i Collemboli diminuiscono e viceversa. Questa discor¬ danza propone una possibile competizione tra questi due taxa come si può rilevare dai prelievi dei biotopi 1 e 2.
TABELLA II
^ ^ BIOTOPI TAXA \ |
1 |
1' |
2 |
2' |
3 |
y |
4 |
4' |
Acari |
158 |
882 |
1.044 |
485 |
1.111 |
1.156 |
1.104 |
1.048 |
Collemboli |
578 |
245 |
1.067 |
197 |
408 |
487 |
866 |
627 |
Nematodi |
52 |
41 |
12 |
22 |
119 |
79 |
62 |
25 |
Larve di Ditteri |
— |
1 |
7 |
2 |
57 |
65 |
46 |
17 |
Araneidi |
— |
— |
27 |
— |
4 |
— |
19 |
— |
Oligocheti |
— |
3 |
— |
1 |
7 |
8 |
— |
42 |
Zoocenosi |
812 |
1.137 |
2.243 |
723 |
1.755 1 |
1.899 |
2.162 |
1.795 |
Tab. IL — Abbondanza dei taxa più comuni.
Interessante è analizzare i dati delle Zoocenosi dei vari prelievi a confronto tra loro e a confronto coi dati dell’abbondanza (v. Tabella II). In questa tabella si può notare che il biotopo che ha dato il totale più alto di animali è il n. 2 estivo, con 2243 esemplari, seguito dal n. 4 sempre estivo con 2162; entrambi contengono anche il maggior numero di Collemboli trovati. Il biotopo che ha fatto registrare il più basso nu¬ mero di individui è invece il n. 2 invernale (723 individui). Natural¬ mente poiché la dimensione di una comunità edafica è strettamente le¬ gata alle condizioni ambientali e alle caratteristiche del luogo designato, la bassa zocenosi del biotopo 2 nel prelievo invernale indica condizioni di habitat molto sfavorevoli per l’attività e affermazione della popola¬ zione faunistica del luogo, oppure una situazione limite per temperatura,
83 —
umidità ecc. ; come nel prleievo 17/2 che fu uno dei giorni più freddi dell’inverno 1964/65.
Infine notiamo che non esiste grande differenza tra i valori ottenuti nel prelievo estivo e quelli ottenuti nel prelievo invernale di uno stesso biotopo, ad eccezione del biotopo 2 il quale evidentemente presenta con¬ dizioni limite microclimatiche. Infatti la differenza tra due periodi di prelevamento, per uno stesso campione, non dovrebbe consistere in una notevole variazione delle zoocenosi, ma in una diversità dei taxa negli strati a causa di addensamento in particolari punti per migrazioni ver¬ ticali o orizzontali in relazione appunto alle mutate condizioni.
Conclusioni.
Si può affermare quindi che gli Astroni presentano comunità ani¬ mali edafiche particolari, abbastanza ben definite e molto legate alle caratteristiche del luogo.
Le fluttuazioni qualitative della pedofauna di Astroni sono senza dubbio legate all’ambiente, il quale opera una vera e propria selezione e dà luogo a competizioni tra i vari tipi di comunità edafiche. Il nu¬ mero di individui di ogni taxon di tali comunità dipende dalla possi¬ bilità o meno di trovare in quella data zona le condizioni più favorevoli al loro insediamento. Da ciò si giunge, con l’instaurarsi di gruppi pre¬ dominanti, ad una vera e propria comunità animale dinamicamente stabile.
Gli Astroni, dunque, costituiscono un biotopo naturale molto im¬ portante che racchiude grandi possibilità di ambientazione per molte specie del suolo.
Infine le cifre relative al totale degli Acari e dei Collemboli, sia il loro insieme che come si è detto può raggiungere il 90% dell’intera zoocenosi, che il valore della loro dominanza per ogni prelievo e per ogni biotopo, mettono in luce che essi rappresentano i due gruppi più impor¬ tanti della fauna del suolo come del resto hanno messo in evidenza anche altri ricercatori (Milne, 1962; HartENStein, 1962). Anzi per microfauna del suolo molto spesso si considerano i Collemboli Artro- pleoni e gli Acari Oribatidi, e quest’ultimi alle volte vengono considerati (Davis, 1964) come l’aspetto più importante.
Da quanto si è detto si può concludere che gli Astroni presen-
— 84 —
tano un tipo di fauna del suolo importantissimo e che giova considerare tale zona come un biotopo naturale da salvare dallo scempio che l’uomo sta compiendo sulla Natura.
Istituto di Zoologia. Università di Napoli.
BIBLIOGRAFIA
Arcangeli A., 1922 - Primo contributo alla fauna degli Isopodi degli Astroni. Ann. Ist. e Museo Zool., Napoli, Suppl. n. 10.
Battaglini P., 1964 - Prime ricerche sulla fauna del suolo degli Astroni in Campania, Ann. Ist. e Museo Zool. Napoli, 16, n. 8.
Battaglini P., 1967a - Un nuovo procedimento per estrarre la mesa e macrofauna dal suolo. Ann. Ist. e Museo Zool. Univ. Napoli, 18, n. 3.
Battaglini P., 1967b - Fluttuazioni di una popolazione edafica e sue relazioni con le proprietà pedologiche di un suolo di origine vulcanica. Boll. Zool., 34, 89-90. Caroli E., 1912 - Collembola. I. Su di un nuovo genere di Needidae. Ann. Ist. Mus. Zool. Napoli. Suppl. n. 4.
Davis B. N. K., 1964 - A study of micro-arthropod communities in minerai soils near Corby, Northants. J. Anim. Ecol., 32, 49-71 De Cillis Onorato M., 1920 - I Nematodi del lago-craterico di Astroni. Ann. Inst. e Mus. Zool. Napoli, Suppl. n. 8.
Della Valle P., 1915 - Tardigrada. I, Ann. Ist. Mus. Zool. Napoli, Suppl. n. 7. Hartenstein R., 1962 - Soil Oribatei. Ann. Entom. Soc. of. America n. 2-4-5-6.
Iroso I., 1913 - I Rotiferi del lago-stagno craterico di Astroni. Ann. Ist. Mus. Zool. Napoli, Suppl. n. 5.
Milne S., 1962 - Phenology of a naturai population of soil Collembola. Pedobiolo¬ gia, 2, 41-52.
Pierantoni IL, 1911 - Oligocheti del laghetto craterico di Astroni. Ann. Ist. Mus. Zool. Napoli, Suppl. n. 3.
Savi L., 1915 - I Ciliati Aspirotrichi del lago-craterico di Astroni. Ann. Ist. Mus. Zool. Napoli, Suppl. n. 6.
Boll. Soc. Natur. in Napoli voi. 79, 1970, pp. 85-96, figg. 5.
Proposta per l'installazione di una rete geotermica nel golfo di Pozzuoli
Nota del Socio A. PALUMBO e di E. PAGLINI (*)
(Tornata del 29 maggio 1970)
Riassunto . — Vengono descritti: un dispositivo realizzato ed utilizzato per il rilevamento dei dati termici nel primo sedimento del fondo marino ed un secondo più sofisticato studiato e progettato per il rilevamento dei dati stessi, la loro tra¬ smissione via radio e la registrazione in sede centralizzata a terra. Viene quindi proposto rimpianto di tali dispositivi sul fondo del Golfo di Pozzuoli, in zone di particolare interesse (fumarole, linee di frattura, etc.) onde contribuire alla cono¬ scenza ed alla sorveglianza della fase attuale del moto bradisismico flegreo.
Sumrnary. — A description is given of : a device accomplished and utilized for thermic data survey in thè first sediment of thè sea bed and another one, more sophisticated, is studied and designed for thè survey of such data, their transmis- sion by radio and recording on mainland centralized seat. It is then suggested to instali these deviees on thè sea bed of Pozzuoli Bay in areas of particular interest ( smoke-holes, fault-lines, etc.) in crder to ameliorate knowledge and watch on thè present stage of thè bradyseismic motion of thè Phlegrean Fields.
1) Premessa
In due precedenti comunicazioni (A. Palumbo et altri: 1970) sono stati riferiti i risultati conseguiti dalPinvestigazione in mare, nel golfo di Pozzuoli, mediante rilievi con ecoscandagli e prospezioni sismiche « sparker ». In particolare è stato riferito di aver ivi rilevato la presenza di strutture domiformi alterate dalPazione di gas ad alta temperatura. Alcune di tali strutture raggiungono la superficie del fondo marino, dando luogo a manifestazioni termiche e gassose ; altre invece si estendono fino a profondità meno elevate non raggiungendo quindi la superficie del
(*) Prof. Enrico Paolini : Istituto di Onde Elettromagnetiche delLIstituto Uni¬ versitario Navale di Napoli.
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fondo e non danno perciò luogo a manifestazioni del tipo precedente- mente descritto.
Adesso che si sono realizzate: la carta delle manifestazioni (corre¬ data di una classificazione sia pure qualitativa), quella delle strutture alterate ed altre di notevole interesse vulcanologico e si è ottenuta la rap¬ presentazione delle principali linee di frattura, si pone il problema conse¬ guente circa la preesistenza delle particolarità riscontrate o sulla loro eventuale evoluzione, associata alla fase attuale del fenomeno bradisismico flegreo.
Qualche dato di indiscussa utilità circa l’evoluzione delle strutture potrebbe ottenersi dalla ripetizione nel tempo delle prospezioni e dei ri¬ lievi già eseguiti, ma si ritiene già utile allo scopo il controllo dei dati termici del fondale del predetto Golfo di Pozzuoli.
L’indagine dovrebbe svolgersi in due distinti settori :
a) nelle zone dove sono state individuate le manifestazioni ;
b) in aree ove la prospezione sismica a mezzo di « sparker » ha rivelato la presenza di strutture domiformi alterate non raggiungenti la superficie del fondo marino, e lungo linee di frattura, pure individuate dalla prospezione predetta.
a) Manifestazioni.
È opportuno premettere che le misure geotermiche, che vengono ora continuamente eseguite sulla terrarferma, alla solfatara di Pozzuoli ed in numerosi pozzi in zone termali dei Campi Flegrei, e quelle che continuano ad effettuarsi in mare nelle zone delle manifestazioni, non hanno rivelato alcuna sensibile variazione della temperatura. Inoltre le indagini geotermiche eseguite dall’O.G.S. di Trieste mediante la M/n « Ruth Ann » hanno rivelato un campo di fondo regolare salvo le acci¬ dentalità nelle zone delle manifestazioni.
È d’altra parte noto che numerose zone dell’area dei flegrei sono caratterizzate da fenomenologia post-vulcanica per cui era da prevedersi la presenza di manifestazioni termali e fumaroliche anche sul fondo del golfo di Pozzuoli, come potrebbe desumersi dalla denominazione stessa di « Secca Fumosa » del luogo ove sono state rilevate alcune manifestazioni.
Queste considerazioni e constatazioni lasciano ritenere che le nredette manifestazioni preesistessero alla fase attuale del bradisismo flegreo e che esse risultino attualmente in fase stazionaria dal punto di vista geo- termico.
D’altra parte il presunto rilevabile incremento termico potrebbe es-
87 —
sere discutibile per il carattere dispersivo del sistema termodinamico, delle condizioni al contorno, per Fazione termoregolatrice del volano termico costituito dagli acquiferi sotterranei e per la esiguità della velo¬ cità dell’onda termica. Comunque, convinti della espressività dei dati delle osservazioni, si è del parere che il controllo che si propone, anche in vista del suo basso costo, andrebbe realizzato.
Al fine di ridurre al minimo il costo di tale controllo, si propone di seguire l’andamento termico in due soli punti, indicati sull’unita carta delle manifestazioni.
I dati termici verrebbero rilevati in detti punti mediante sonde con¬ tenenti opportuni « sensori », posizionate in loco entro il fondale da su¬ bacquei e collegate, attraverso un cavo stagno, a traliccio posato sul fondo od a boe in superficie ancorate al fondo stesso.
Per la manifestazione indicata col n. IA (Fig. 1) ci si potrà servire di un traliccio cortesemente messo a disposizione dal Provveditore alle 00. PP. di Napoli e già installato nel predetto punto.
Per la manifestazione indicata col n. IIIB dovrà prevedersi rim¬ pianto di una boetta, o gavitello.
Trattandosi di zone di prova a bassa profondità ci si potrà valere dell’opera del centro subacqueo di Baia per la sistemazione, manutenzione e controllo delle sonde e per il loro eventuale spostamento.
b) Flusso Geotermico.
Nei punti ove la prospezione sismica « sparker » ha rilevato la pre¬ senza di strutture domiformi alterate non raggiungenti la superficie del fondo marino, si ritiene che il controllo delle variazioni temporali del flusso geotermico sia molto indicativo per giudicare sulla evoluzione della fenomenologia osservata, in quanto è chiaro che l’avvicinamento (e le modificazioni) della superficie del « domo » alterato al fondo marino e quindi della sorgente termica ai « sensori » di temperatura dà certa¬ mente luogo a variazioni del flusso termico, tenuto anche conto delle più favorevoli condizioni al contorno di questi volumi lateralmente e superiormente chiusi, in cui si verificano cospicue azioni chimiche e termodinamiche .
II controllo della temperatura in qualche punto lungo le più impor¬ tanti linee di frattura individuate mediante la stessa prospezione « spar¬ ker » potrebbe fornire elementi per giudicare circa la eventuale evolu¬ zione delle fratture stesse.
I valori del gradiente geotermico potranno venire calcolati dai dati
Moni© Nuovo
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rilevabili da più « sensori » di temperatura sistemati a distanze presta¬ bilite lungo uno stesso apposito carotiere.
I sensori andranno collegati, mediante cavo stagno, a boe o tralicci in superficie. Le sonde potranno venire sistemate nel sedimento ad opera dei subacquei e le letture potranno venire speditamente eseguite ad op¬ portuni intervalli di tempo (ad esempio ogni settimana) servendosi di un comune battello.
Possono prevedersi n. 10 punti di lettura nel Golfo di Pozzuoli più altri due da sistemarsi fuori del Golfo in zona non bradisismica, onde avere informazioni sulle condizioni al contorno (superficie del se¬ dimento) necessarie per la determinazione del flusso geotermico e delle sue variazioni temporali.
Per il collegamento via cavo delle varie sonde sottomarine ai boc¬ chettoni in superficie potranno utilizzarsi i tralicci cortesemente messi a disposizione dal Provveditore alle 00. PP. di Napoli, alcune boe già esistenti e le due secche (Caruso e Fumosa) per le quali è stato già progettato dal Provveditore alle Opere Marittime di Napoli l’elevazione in manufatto per il controllo del fenomeno in atto.
2) Elementi sensori.
La misura della temperatura nel fondo marino può in generale es¬ sere eseguita a mezzo di elementi sensori di vario tipo (termocoppie, termopile, bolometri, termometri, pressostati, termistori, ecc.) le cui indi¬ cazioni siano suscettibili anche di essere trasmesse a distanza senza alte¬ razione, o con alterazione nota.
A seconda del tipo di « sensore » adoperato, i campi di temperatura copribili sono diversi e, per la misura delle temperature comprese tra i + 5°C e -f 200°C, sono stati prescelti come elementi « sensori » i termi¬ stori ceramici per la loro stabilità e robustezza.
Per la misura del flusso geotermico potranno probabilmente venire usati altri indicatori a lettura diretta del tipo oc termist ».
3) Prove orientative di laboratorio condotte finora.
Non potendo facilmente ed immediatamente reperire apparecchi completi per la misura, sono già stati realizzati alcuni dispositivi di la¬ boratorio per esaminare la funzionalità delle varie parti di circuito che
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si è previsto di adoperare per la misura della temperatura sotto il fondo marino e per la sua eventuale trasmissione a distanza.
Un tale dispositivo, costituito da un termistore ceramico sistemato alla estremità di un puntale, collegato con cavo stagno in superfice ad un ohmetro digitale tarato in temperatura, è servito per il rilevamento dei dati di temperatura riportati nella carta allegata alla prima comunicazione.
Si è perciò anzitutto dovuta eseguire la curva di taratura di ogni esemplare di termistore ceramico adoperato, misurando in laboratorio la resistenza R in funzione R(T) della temperatura T ( fig. 2), così da co¬ stituire un sistema molto semplice di rilevamento della temperatura.
Sono state però condotte anche prove in previsione di eventuali rile¬ vamenti continui, automatizzati ed a distanza. A tale scopo è stato co¬ struito un circuito a in ulti vibratore astabile a transistori per trasformare la variazione del valore di resistenza R contenuta nel circuito in varia¬ zione di frequenza f fondamentale del multivibratore di forma rettango¬ lare f (Rj).
Ponendo il termistore, di resistenza R al posto della resistenza R, è stata calcolata, dalle due precedenti relazioni sperimentali, la curva della frequenza f in funzione f (T) della temperatura T (fig. 3).
Tale circuito è stabilizzato in tensione, e studiato allo scopo di dar luogo ad un minimo consumo di potenza (50 m¥).
È stata anche studiata la struttura del puntale con il quale sia pos¬ sibile infiggere il termistore col suo contenitore metallico entro il fondo senza che venga alterato il comportamento elettrico del circuito suddetto a causa di accoppiamenti spuri attraverso la conduttività dell’acqua di mare.
Con la tensione rettangolare fornita dal multivibratore è stato mo¬ dulato in ampiezza un piccolo oscillatore a circa 27 MHz di portante, connesso direttamente ad una antenna radiante alcuni milliwatt
La trasmissione modulata è stata ricevuta da un ricevitore (che do¬ vrebbe poi essere sostituito dal sistema a terra da ricezione) e il segnale rivelato è stato squadrato ed applicato ad un frequenziometro elettronico. La corrente continua di uscita è proporzionale alla frequenza f di modu¬ lazione e di conseguenza risulta una funzione nota della temperatura T raggiunta dal termistore.
Queste prime prove di laboratorio hanno dato risultati incoraggianti così da prevedere in un primo tempo un dispositivo semplice di rileva¬ mento di temperatura e in un secondo tempo di sviluppare eventualmente anche un sistema più sofisticato di controllo termico a distanza.
— 91 —
In base alle prove di laboratorio già condotte, si propone perciò di costruire anzitutto un primo dispositivo di misura molto semplice, poco
Fig.. 2. — Curva di taratura della temperatura in funzione della resistenza di un termistore ceramico.
costoso e di rapida realizzazione, e successivamente, se saranno osservate variazioni di temperatura tali da giustificarlo, potrà essere costruito un
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secondo dispositivo più costoso, sofisticato e completo per trasmissione con continuità di dati a distanza.
Fig. 3. — Curva di taratura della temperatura in funzione della frequenza del multi-
vibratore astabile.
4) Dispositivi semplici di rilevamento discontinuo della tem¬ peratura NELLE MANIFESTAZIONI.
Il rilevamento discontinuo della temperatura nelle manifestazioni può essere effettuato con puntale infisso nel fondale e contenente il ter¬ mistore tarato, collegato ad un cavo ben isolato rispetto all’esterno.
L’uscita stagna del cavo sarà vincolata od al traliccio od alla boa e la misura di resistenza verrà fatta di tempo in tempo, ad es. ogni setti-
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malia, a mezzo di un oh metro digitale tarato. L’operazione di misura sarà condotta con una piccola imbarcazione sulla quale verrà installato l’ohme- tro digitale e il suo sistema generatore di alimentazione.
L’unica messa a punto è quella di assicurare la condizione stagna dei « sensori » immersi.
5) Dispositivo più complesso di rilevamento continuo della tem¬ peratura NELLE MANIFESTAZIONI.
Il dispositivo più sofisticato che si prevede di realizzare dovrebbe funzionare secondo il secondo concetto : due ( o più) posti periferici di controllo della temperatura del fondo dovrebbero trasmettere con conti¬ nuità ad un posto centralizzato a terra i valori delle temperature e lì ve¬ nire registrati.
a) Posti periferici.
Gli apparecchi di trasmissione dovrebero essere fissati a gavitelli ancorati, od a tori appoggiate sul fondo stesso, in corrispondenza dei punti più interessanti da controllare.
In figura 4 è indicato lo schema a blocchi che si prevede di utiliz¬ zare in ognuno dei posti periferici.
Il termistore è posto nel puntale all’estremità del tubo da infiggere nel fondo ; a questo tubo sono successivamente innestabili altri tronchi di tubi così da aumentare la profondità del puntale. Il cavo di uscita dal termistore è connesso al multivibratore astabile, con il quale si mo¬ dula in ampiezza il trasmettitore quarzato a circa 27 MHz, e di una de¬ cina di Watt. L’emissione può avvenire da una antenna a stilo con un consumo di circa 300 mA a 12V.
L’alimentazione dovrebbe essere fornita da opportune batterie rac¬ colte in contenitore stagno, ricambiabili per la ricarica di tempo in tempo, e connessa ai due apparecchi a mezzo di bocchettoni stagni.
I due apparecchi dovrebbero, pure essi, essere contenuti in un se¬ condo contenitore stagno dal quale fuoriesce l’antenna a stilo protetta da un involucro isolante.
La difficoltà maggiore da superare sarà quella di conciliare il con sumo di potenza necessario alla trasmissione tale da essere ricevuta cor-
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rettamente nel posto centralizzato a terra, con l’autonomia delle batterie di alimentazione ricambiabili.
Fig. 4. — Schema a blocchi di posto periferico trasmittente.
b) Posto centralizzato a terra , con registrazione.
In figura 5 è indicato lo schema a blocchi del sistema centralizzato di ricezione, posto a terra, ad esempio nella Capitaneria di Porto. Poiché nei posti periferici verranno usate frequenze leggermente diverse (tutte
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però nelle bande di libera o di limitata radiazione) nel posto centraliz¬ zato di ricezione verranno collocati altrettanti ricevitori costituiti dalle parti riceventi, quarzate, di « walkie-talkie » del normale commercio.
Le varie uscite saranno seguite da frequenziometri del tipo a carica¬ scarica di condensatore. Le correnti di uscita dei frequenziometri saranno sia indicate direttamente da milliamperometri in ce identici, sia registrate da un registratore pluricanale.
od es. 27,1MH2
Fig. 5. — Schema a blocchi di posto centralizzato ricevente.
Questo impianto finale dovrà tuttavia essere realizzato attraverso vari stadi intermedi costituiti da dispositivi parziali e si procederà oltre, solo se le prove più severe su ogni dispositivo parziale daranno assoluta ga¬ ranzia di correttezza ed affidabilità di funzionamento.
Vari punti assolutamente essenziali sono da rilevare e studiare accu¬ ratamente anche con prove prolungate nel tempo, in quanto non è pos¬ sibile prevederne sulla carta il funzionamento, bensì solo l’esperienza reale potrà dirlo. Essi possono essere ad esempio: il sistema di infissione dei tubi nel fondo, il mantenimento dell’isolamento nel tempo tra termistore e tubi esterni, i disturbi alle radioricezioni (che possono produrre segnali
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spuri nel registratore), la tollerabilità del consumo di potenza dei radio¬ trasmettitori dei posti periferici, le facilità di installazione e di ispezione degli impianti periferici in mare, la protezione contro gli agenti atmosfe¬ rici, la stabilità alle variazioni ambientali, ecc.
Di massima sarebbe desiderabile trovare qualche ditta che si incari¬ chi di eseguire tutto il lavoro, limitando il compito dei committenti a dare direttive e ad effettuare prove, ma si deve logicamente ritenere che nes¬ suna ditta che abbia larga esperienza nel campo accetti di costruire un dispositivo in esemplare unico. Resta perciò come eventualità più proba¬ bile, se non la certezza, che il lavoro di costruzione e di messa a punto, deb¬ ba essere fatto da un laboratorio universitario (in cui il lato economico non è tenuto in preminente considerazione), presso il quale sia disponi¬ bile un mezzo navale ed una adeguata attrezzatura di prova.
6) Conclusioni.
Può venire costruita una semplice rete geotermica nel Golfo di Poz¬ zuoli per mezzo di due dispositivi di misura per la sorveglianza delle ma¬ nifestazioni già individuate e di 12 punti di controllo del gradiente del flusso geotermico scelti lontano dai luoghi delle suddette manifestazioni, fuori e dentro il Golfo.
Le installazioni a mare possono essere eseguite utilizzando in parte impianti già esistenti e con l’ausilio del personale e dei mezzi locali.
Per i due rilevamenti termici delle manifestazioni si può, in un pri¬ mo tempo, adottare semplici dispositivi atti ad effettuare misurazioni continue (ad es. ogni settimana).
In un secondo tempo si potrà costruire un impianto più sofisticato ( per il quale sono già stati raccolti vari risultati sperimentali) allo scopo di effettuare misurazioni continue di temperatura, trasmesse via radio e registrate in una sede centralizzata a terra.
BIBLIOGRAFIA
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De Bonitatibus A., Latmiral G., Latmiral G., Mirabile L., Palumbo A., Sarpi E , Scalerà A., 1970 - Rilievi sismici per riflessione i stratigrafici ecografici ( fuma¬ role ) e batimetrici nel Golfo di Pozzuoli. Boll. Soc. Nat., Napoli, voi. XXIX.
Boll . Soc. Natur. in Napoli
voi 79, 1970 , pp. 97-113, 6 figg 5 tetw.
Rilievi sismici per riflessione: strutturali, ecografici (fumarole) e bali metrici, nel golfo di Pozzuoli
Nota di DE BONITATIBUS ANTONIO (1), LAI MIRAI, GAETANO (1), LATMIRAL GIUSEPPE (2), MIRABILE LORENZO (1), PALOMBO ANTONINO (3), SARPI ERNESTO (4), SCALERÀ ALDO (5), presentata dai soci ANTONINO PALOMBO ed ERNESTO SARPI
(Tornata del 29 maggio 1970)
Sommario . — Durante il maggio 1970 la M/n Dectra dell’Istituto Universitario Navale di Napoli ha eseguito un reticolato (300x 912 mq) di lìnee sismiche (con- tinuous seismic proli li ng) con metodo Sparker nel Golfo di Pozzuoli, interessato dal noto fenomeno bradisismico ; sono stati anche eseguiti rilievi ecografici.
Le registrazioni sismiche del sottofondo marino hanno mostrato delle zone con riflessioni caotiche (non correlate) e numerose discontinuità nei livelli riflettenti. Le prime si prestano a varie interpretazioni, una delle quali potrebbe essere che si tratti di zone di alterazione idrotermale di vulcaniti preesistenti ; le seconde pos¬ sono essere interpretate come fratture o faglie. Le une e le altre sono state rispet¬ tivamente cartografate su tutta l’area del Golfo.
Summary . — A seismic lines network (300x912 sq.m.) (continuous seismic profiling, Sparker System) has been carried out on May 1970 by R/V Dectra of thè Istituto Universitario Navale (Napoli) in thè Pozzuoli Gulf, interested by thè well known bradyseismic movement. Echosounder researches bave also been made.
The seismic records of thè marine sub-bottom bave shown some random ( non correi ated) reflection areas and many discontinuities in thè reflecting levels. The ones can be variously interpreted ; a possibility can he that they are volcanìc rocks alterated by hydrothei.ro al fluida, The others are supposed to be fractures or faults. Roth bave been respeetively contoured and plotted on a map covering thè whoìe Gulf area.
(1) Istituto Universitario Navale, Napoli.
(2) Istituto dì Geofisica Mineraria, Roma.
(3) Istituto di Fisica Terrestre, Napoli, (Socio).
(4) Geologo, Napoli, (Socio).
(5) Cultore Scienze Marittime, Napoli.
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Introduzione.
Nella seduta del 20-3-1970 della Soc. dei Naturalisti di Napoli, si è riferito (A. Palumbo ed altri, 1970) su una prima serie di profili sismici eseguiti nel golfo di Pozzuoli con la M/n Dectra dell’Istituto Universitario Navale di Napoli (I.U.N.) nel marzo 1970. Appariva una correlazione tra alcune caratteristiche delle registrazioni stratigrafiche sot¬ tomarine e la presenza di manifestazioni gassose (fumarole) rilevate con l’ecoscandaglio. I risultati ottenuti suggerirono di effettuare i rilievi si¬ smici per riflessione in modo sistematico, al fine di coprire tutto il Golfo di Pozzuoli con l’esecuzione di un reticolo avente una maglia di 300 x 912 mq., corrispondente alla rete del sistema di radiolocalizzazione mediterranea Loran C ( stazioni trasmittenti Barcellona - Catanzaro - Istanbul) (Tav. 1). Tale lavoro è stato eseguito dalla M/N Dectra du¬ rante la sua IIa campagna a Pozzuoli (maggio 1970).
Venuti in seguito in possesso (*) dei dati batimetrici rilevati recen¬ temente dalla nave Bannock del C.N.R., si è provveduto a cartografare la batimetria ed a correlare i rilievi ottenuti dalla sismica per riflessione con i suddetti dati (Tav. 2 e Tav. 3).
Nella parte interna del Golfo di Pozzuoli, con un reticolo indipen¬ dente da quello precedente e di esso più fitto (Par. 5) è stata tracciata anche una «carta delle manifestazioni (fumaroliche) » (Tav. 4).
1. Il problema del posizionamento topografico dei rilievi.
Dato che l’I.U.N. non dispone di sistemi di radiolocalizzazione per lavoro idrografico del tipo Decca Hi-Fix ovvero Raydist, ci si è serviti del sistema Loran C mediterraneo impiegando a bordo un ricevitore Decca ADL/21.
La scelta obbligata delle coppie di stazioni Catanzaro - Barcellona e Catanzaro - Istanbul è stata determinata dal fatto che la stazione della Sirte aveva cessato le regolari emissioni. Sfortunatamente, sono attual¬ mente disponibili carte di dettaglio della zona interessata con riportate le iperboli, con passo di 2| is, soltanto per le coppie di stazioni Catanzaro - Barcellona e Catanzaro - Sirte (**). Si è dovuto pertanto procedere a
(*) Il rilievo batimetrico è stato concesso dalla cortesia del Com.te MaccHIA- VELLI, direttore dell’Istituto Idrografico M.M., che qui vivamente ringraziamo.
(**) Carte edite a cura dell’Osservatorio Geofisico Sperimentale di Trieste, che vivamente ringraziamo.
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tracciare approssimativamente, in base a carte più generali, le iperboli Catanzaro - Istanbul, rettificandone poi la posizione sulla carta mediante punti ottici e Radar eseguiti mentre la nave le percorreva.
Punti radar molto più esatti potrebbero essere fatti mediante l’uti¬ lizzazione del Radar Becca TM829 di cui è dotata la M/n Dectra, qualora fosse possibile disporre a terra, in posizioni topografiche note ed opportune, di almeno due risponditori attivi che con i loro segnali codificati eliminerebbero l’incertezza tipica dei rilevamenti radar di co¬ ste. Ovviamente il sistema di lettura delle distanze mediante il Radar dovrebbe essere digitalizzato.
Per quel che concerne le iperboli Catanzaro-Istanbul, l’indicazione strumentale è molto meno stabile rispetto a quella relativa alle iperboli Catanzaro-Barcellona, specialmente nelle ore pomeridiane e serali. Du¬ rante tali ore migliora la propagazione ionosferica nella tratta di percorso interessato [a causa del diminuito assorbimento dello strato D] (*) ed altri segnali interferenti (Noise), correlati o non con il segnale Loran proveniente da Istanbul ( S), degradano il rapporto S/N al ricevitore a valori tali da impedire la prevista risoluzione di alcuni centesimi di fisec, portandola ad alcuni decimi.
Ovviamente non è possibile, con la nave, seguire rotte esattamente coincidenti con le iperboli Loran: l’approssimazione di + 0,1 [xsec è da considerarsi l’optimum raggiungibile. Per di più, specie sottocosta ed in presenza di ostacoli rilevanti, le iperboli, luogo dei punti di eguale diffe¬ renza di tempo di arrivo, presentano, a causa della diffrazione dovuta agli ostacoli, notevoli deviazioni ed anomalie.
Si è comunque ritenuto, nell’ambito dell’approssimazione richiesta, di poter rettificare sulla carta nautica le rotte seguite. Di conseguenza l’esattezza dei punti di rilevamento su cui ci si è basati per cartografare le strutture del sottofondo marino è subordinata alle seguenti ipotesi :
1) che le iperboli siano assimilabili a rette nella regione considerata;
2) che siano trascurabili le anomalie delle iperboli Loran ;
3) che le rotte seguite corrispondano effettivamente a linee Lo¬ ran, sulle quali si è cercato di tenersi ; con l’approssimazione del decimo di (Jisec nel caso della famiglia dovuta alla coppia di stazioni Catan¬ zaro - Barcellona e di qualche decimo di [Jisec per la coppia Catanzaro - Istanbul ;
4) quando i punti ottenuti con osservazioni Loran o con rileva¬ menti costieri non si trovano sulle linee Loran di rotta ideale, si è
(*) Int. Telegr. and Teleph., 1969; Terman, 1965.
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provveduto a proiettarli sulle stesse parallelamente alle linee Loran dell’altra famiglia.
L’insieme di dette approssimazioni fa sì che, nella determina¬ zione del punto, possano esservi errori dell’ordine del centinaio di metri, più gravi per le iperboli della famiglia Catanzaro - Istanbul che per l’altra.
Tale approssimazione può essere considerata lecita anche in re¬ lazione con il fatto che i profili sismici Sparker (eseguiti con trasdut¬ tori emittenti e riceventi non direttivi) non coincidono che approssi¬ mativamente con i profili reali.
2. Il sistema « Sparker » e la sua resa.
L’esecuzione dei profili sismici è stata eseguita impiegando il si¬ stema Sparker della E.G. & G. Utilizzando il fondo scala di 250 msec. (tempo di andata e ritorno) si è osservato che la migliore resa si ot¬ teneva impiegando il sistema di energia di 6 K Joule, rispetto agli 8 KJ disponibili.
La presenza di un forte rumore sia aleatorio sia di riverbera¬ zione (*) ha richiesto un attento posizionamento della soglia ed una laboriosa scelta dell’amplificazione del sistema ricevente in modo da ottenere una buona resa media pur con fondali estremamente varia¬ bili e generalmente inferiori alla metà del fondo scala ( d’onde la presenza di echi multipli).
La superficie di separazione di due mezzi diversi risulta visibile purché la loro impedenza acustica 7j=p.v (pari alla densità per la velo¬ cità) sia sufficientemente differenziata.
Alla superficie di separazione di due mezzi d’impendenza yjT ed Yjo il coefficiente di riflessione in potenza è infatti pari a (yj2 — y^)2. (ijj +i'ìi)'2-
(*) Per rumore di riverberazione intendiamo quello che è in qualche modo correlato con gli impulsi emessi e che si manifesta sia con echi fantasma ( ghosts, di origine geometrica ed/o elettrica (Dobrin, 1960; Mirabile, 1969; Robinson, 1967) sia con echi multipli, dovuti a rimbalzi successivi tra la superficie del mare e quella del fondo.
Gli echi fantasma sono caratterizzati, nelle registrazioni, dal parallelismo delle relative linee ; nei multipli invece le pendenze risultano moltiplicate per l’ordine di molteplicità. In generale un’eco del sottofondo è reale quando presenta caratte¬ ristiche di dettaglio, pendenza, etc. non correlatoli verticalmente con quelle degli echi sovrastanti.
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Perchè di uno strato siano visibili le due superfici superiore ed in¬ feriore e perchè inoltre, al disotto di esso, altri livelli riflettenti siano rilevabili, occorre che sia soddisfatta una condizione più restrittiva, vale a dire che la sua impendenza acustica sia differenziata, ma non troppo drasticamente, da quella degli strati adiacenti, e che inoltre esso non attenui eccessivamente le onde acustiche : deve in sostanza essere « se¬ mitrasparente ».
Naturalmente, due livelli riflettenti adiacenti possono essere discri¬ minati soltanto se la loro distanza è almeno pari alla lunghezza d’onda più breve ancora contenuta nella parte essenziale dello spettro del segna¬ le emesso.
I trasduttori trasmittente (sparker) e ricevente (idrofono puntifor¬ me) erano rimorchiati di poppa a profondità di 2-3 metri, con la nave procedente ad una velocità di ^ 4 nodi. La profondità di immersione, era determinata dalla distanza di trascinamento della nave rispettiva¬ mente di wn 10m e ^ 15m. Con la distanza si attenua in ricezione l’ef¬ fetto dei rumori della nave, il che è opportuno anche perchè l’idrofono puntiforme migliora il dettaglio ma non consente il guadagno S/N che potrebbe ottenersi con una opportuna cortina di idrofoni. Tali quote di immersione hanno permesso di esaltare, sommando in fase le riflessioni dovute alla discontinuità mare-aria con il segnale diretto, le frequenze essenziali dello spettro dello sparker. Ovviamente si è lamentata la man¬ canza di immersori telecomandati per i due trasduttori. Tali immersori avrebbero permesso di ottimizzare le quote di navigazione dei trasdutto¬ ri e di raggiungere il miglior compromesso tra la risoluzione del siste¬ ma e la sua geometria che comporta necessariamente la presenza di echi fantasmi (ghosts).
La notevole potenza impiegata in trasmissione ha permesso di ot¬ tenere contemporaneamente, buona risoluzione e ottima penetrazione, parametri notoriamente antitetici.
Eseguendo il reticolo sismico di cui sopra nel Golfo di Pozzuoli si è adottata una tecnica di registrazione tale che, pur filtrando le basse frequenze fino a 80 Hz per l’eliminazione dei rumori periodici prodotti dagli elettrogeni della nave, si è rimasti immuni dai ghosts elettrici do¬ vuti al filtraggio (L. Mirabile, 1969). Adottando tali accorgimenti le registrazioni risultano affette quasi esclusivamente da « ghosts » geo¬ metrici.
La presenza dei cc ghosts » geometrici è notevolmente fastidiosa in fase interpretativa. Essi infatti nascondono, spesso, echi reali e solo l’at¬ tenta correlazione spaziale permette di seguire gli echi di discontinuità
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a debole coefficiente di riflessione. Un procedimento di a deghosting » (E. Corti, 1969, A. E. Robinson 1967) potrebbe, probabilmente mi¬ gliorare Finterpretazione delle registrazioni.
3. Esame dei profili.
Si è tentato, in un primo momento, di seguire i vari livelli riflet¬ tenti che comparivano nelle registrazioni, dato che, in particolare nel profilo relativo alla iperbole 53054 (Tav. 1, corsa 11) uscente con dire¬ zione SSW dalla zona di La Pietra, si nota, tra le marche 1 e 3 ( fig. 1), a profondità dal fondo di circa 70ms, (andata e ritorno) un livello ri¬ flettente molto netto, che lascia pensare ad una discontinuità di note¬ vole interesse. Tale livello, interrotto da alcune zone opache, può essere seguito sino alFincrocio con la iperbole 35121 (marca 8, fig. 1).
Non si ritiene però che tale livello possa essere assunto come « marker » per l’intera zona perchè non è stato possibile rilevarlo in al¬ tre parti del Golfo di Pozzuoli. Sarebbe auspicabile l’esecuzione di tri¬ vellazioni profonde, finora non effettuate. Esse permetterebbero di « ta¬ rare » tutto il lavoro di sismica per riflessione eseguito a Pozzuoli. Le carote sarebbero di grande interesse se prelevate nelle strutture di cui si dirà subito appresso.
Sempre tenendo presente quale riferimento la Fig. 1 e dato che ef¬ fetti analoghi compaiono in modo anche più vistoso in molte altre regi¬ strazioni, si è preferito analizzare quelle zone in cui i livelli riflettenti si interrompono per lasciare il posto a strutture in cui le riflessioni so¬ no caotiche e presentano livelli spazialmente incorrelabili. È da notare che i livelli riflettenti laterali e superiori a queste zone opache appaiono generalmente imperturbati, mentre non sono presenti consistenti echi in corrispondenza delle superfici di separazione. In tali strutture l’intensità degli echi si attenua con la profondità in misura molto più accentuata di quanto avvenga per gli echi correlati, quasi che all’interno di queste strutture le perdite frizionali fossero più rilevanti rispetto a quelle che si riscontrano nei materiali stratificati. Gli echi di queste strutture so¬ no simili a quelli rilevati in zone dove la presenza di fumarole è stata accertata con metodo diretto.
L’esame condotto, sulla verticale di queste strutture, con ecografi ad alta frequenza (12 KHz e 30 KHz), ha mostrato altresì che esistono sovente, al di sopra di esse, particolari e singolari echi (Tav. 5) analoghi a quelli riscontrati in luoghi (A. Palumbo ed altri 1970) dove sono
Corsa 17 della tav.
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notoriamente dovuti a fuoriuscite gassose ( *). I profili sismici mostrano che molte di queste strutture giungono fino in superficie, sicché il pre¬ lievo di carote di 6 o più metri consentirebbe il certo riconoscimento della situazione fisico-chimica alFinterno delle stesse.
L’analisi delle iperboli da 53066 a 53074 (Tav. 1, corse da 17 a 23) ha permesso di rilevare, ^ Img a S di Nisida, una struttura cupo¬ liforme il cui materiale presenta una impendenza acustica estremamen¬ te elevata, dato che, praticamente, le onde elastiche vengono totalmente riflesse.
Solo nella parte centrale di questa struttura è stato possibile otte¬ nere una modestissima penetrazione. Si è pertanto indotti a correlare questa struttura con quella del « Banco di Ischia » sul quale tempo ad¬ dietro sono stati eseguiti alcuni profili sismici di prova. Ne consegue una probabile analogia anche di carattere geologico. In quasi tutti i pro¬ fili è evidente la presenza di traslazioni verticali dei livelli riflettenti. Tali traslazioni, a volte, interessano quasi tutti i livelli, da quelli pros¬ simi al fondo fino a quelli più profondi, altre volte sono limitate a bre¬ vi intervalli di profondità. In corrispondenza di alcune di tali traslazio¬ ni la presenza di iperboli di diffrazione sta ad indicare la discontinuità fisica dei livelli riflettenti.
4. Interpretazione dei dati sismici.
Com’è noto, il Golfo di Pozzuoli fa parte della grande caldera di sprofondamento flegrea, di cui la parte meridionale è stata sommersa dal mare. Se ne arguisce che i materiali costituenti il sottofondo del Golfo siano piroclastiti e lave. Lungo le coste del Golfo affiorano piro- clastiti del IL e III. periodo flegreo. Il secondo periodo flegreo è rappre¬ sentato principalmente dal tufo giallo napoletano e il terzo da prodotti piroclastici e lavici vari. Il più recente edificio vulcanico nella zona è
(*) È da osservare, al riguardo, che le fumarole si manifestano ecograficamente con aspetti assai diversi : alcune presentano immagini ecografiche verticalmente uni¬ formi per lungo tratto (quasi che il rumore di fondo fosse più o meno fortemente aumentato), giungenti, almeno per i fondali esplorati, sino alla superficie del mare, ancorché nulla apparentemente affiori ; altre sembrano presentarsi come triangoli isosceli con lato di base sul fondo, od anche come grosse nuvole, più o meno ade¬ renti al fondo. (Per queste forme non sempre è agevole evitare la confusione con eventuali banchi di pesci).
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quello di Monte Nuovo, formatosi nell’anno 1538. (A. Rittmann ed altri, 1950; A. Segre, 1961).
Le registrazioni sismiche permettono di osservare su tutto il golfo uno spessore fino a 7 metri circa di sedimenti recenti che presentano stratificazioni più o meno regolari, a volte incrociate. Al di sotto di questo livello si riconosce una serie di piroclastiti, generalmente strati¬ ficate, in cui, però, non sembra di poter riconoscere un cc marker » estendibile a tutta la zona rilevata. La stratificazione dei materiali piro¬ clastici si presenta generalmente regolare, particolarmente nella zona centrale del Golfo, ad E di Capo Miseno. Frequentemente i livelli riflet¬ tenti indicanti la stratificazione sono interrotti da piccole discontinuità che potrebbero indicare fratturazioni dovute sia a compattazione diffe¬ renziale, sia ad assestamenti delle piroclastiti stesse a seguito di movi¬ menti sismici. In alcune zone del Golfo, e particolarmente ad E di Baia, ad E e SE di Capo Miseno, le stratificazioni sono interrotte da zone opa¬ che, in cui non è possibile riconoscere livelli spazialmente correlabib.
La cartografia di queste zone opache è stata eseguita con equidi¬ stanza espressa in millisecondi e non in metri, in mancanza di dati attendibili circa la velocità di propagazione nel sottofondo marino (vedi Tavola 2).
Tali zone opache in cui non si hanno regolari livelli riflettenti, possono essere interpretate come zone in cui le originarie rocce pirocla¬ stiche sono state alterate fisicamente in modo tale da distruggerne la stratificazione trasformandole in una massa con disomogeneità di tipo aleatorio. Sembra lecito pensare che causa di tale alterazione sia la risa¬ lita di fluidi con caratteristiche idrotermali lungo zone di fratturazione preesistente.
In altri casi tuttavia potrebbe trattarsi di cupole laviche, probabil¬ mente trachitiche, preesistenti alle piroclastiti che si sono depositate late¬ ralmente e sopra di esse ; tali cupole sarebbero state in seguito alterate chimicamente (caolinizzazione) da fluidi con caratteristiche idrotermali. I ’argillificazione avrebbe potuto essere talora accompagnata da fenomeni di diapirismo o di compattazione differenziale.
Queste ipotesi sembrano trovare conferma nella frequente presenza di manifestazioni fumaroliche in corrispondenza delle zone di altera¬ zione (*). Tali manifestazioni oltre ad essere state registrate con l’eco¬ scandaglio, sono state confermate, in alcune zone, da osservazioni dirette
(*) A seguito delle ipotesi fatte, le zone opache saranno d’ora in poi in questo scritto chiamate « zone di alterazione ».
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subacquee e da prelievo di pomici con precipitati di sali metallici. Le zone di alterazione hanno forma varia, spesso donnea o cupoliforme, con una o più culminazioni che raggiungono talora il fondo marino ; in quest’ultimo caso sono state cartografate con uno speciale simbolo sulla carta di cui alla Tav. 2.
Queste strutture attraversano tutto o quasi tutto lo spessore delle piroclastiti, relativamente alla massima profondità interessata dalle ri¬ flessioni sismiche di cui qui si riferisce (fig. 2) [corsa 17].
Dall’analisi delle registrazioni sismiche risulta evidente che le vul¬ caniti costituenti il sottofondo della zona di mare esplorata sono state interessate da un doppio sistema di fratture e faglie (in genere a piccolo rigetto), secondo due direzioni dominanti intersecantisi tra di loro: una NNW-SSE, ed un’altra WSW-ENE. Tali direttrici tettoniche, che, salvo alcuni casi particolarmente evidenti, non sono sempre rilevabili in modo inambiguo ed univoco dalle registrazioni sismiche, sono state desunte per estrapolazione da quelle osservate a terra da Rittmann ed altri (1950). Non essendo disponibile una taratura del rilievo sismico su tutta la zona, né un livello guida, si è preferito cartografare tutte le disloca¬ zioni distinguibili nelle registrazioni. È chiaro quindi che una parte delle dislocazioni possono essere interpretate come deformazioni secon¬ darie a carattere locale. Fratture e faglie sono particolarmente evidenti nella fig. 3 [corsa 6].
Tra le fratture e faglie riportate sulla carta le più notevoli sono le tre seguenti:
a) una in direzione WSW-ENE, poco a Sud della Secca Fumosa e nell’allineamento Castello di Baia-Molo di Caligola ;
b) una seconda che attraversa quasi tutta la zona rilevata in di¬ rezione NW-SE. Questa faglia nella sua porzione nord-occidentale, è ben rilevabile tanto nelle registrazioni, quanto nella batimetria ; nella sua porzione sud-orientale invece è rilevabile dalla sola carta batimetrica (Tav. 3) tanto più che in questa regione la notevole presenza di zone di alterazione non permette talora di riconoscere fratturazioni o faglie. È inoltre da notare che questa principale linea tettonica è di imposta¬ zione antica e che può aver subito ringiovanimenti anche solo in alcune zone, essendo la sua espressione topografica attenuata dal riempimento di sedimenti e/o piroclastiti più recenti (figura 4 vedere tra le marche 4 e 5) [corsa 5] ;
c) una terza di direzione NNW-SSE, che è in prosecuzione di quella rilevata a terra immediatamente a E di Pozzuoli. Tale faglia è ben riconoscibile nelle registrazioni ed ha un rigetto relativamente piccolo ;
Corsa 6 della tav.
u*
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d) un sistema di faglie con andamento NNW-SSE a S di Capo Miseno, che è la prosecuzione a mare della grande faglia che va da Baia a Capo Miseno. Tale sistema determina una struttura ad horst e graben ben rilevabile nelle registrazioni, fino ai livelli più superficiali (fig. 5) [corsa 36-1].
A S di Nisida è presente un edificio vulcanico che è ben evidente sia nelle registrazioni sismiche, sia sulla carta batimetrica. Morfologica¬ mente tale edificio ha una forma rotondeggiante con sommità relativa¬ mente piatta e fianchi ben delineati. Le caratteristiche fisiche riscontra¬ bili nelle registrazioni inducono a pensare che si tratti di un cratere con riempimento successivo di vulcaniti più recenti. Questa seconda ipotesi potrebbe risultare valida qualora risultassero reali gli echi registrati nella parte centrale di questa struttura (fig. 6) [corsa 23].
I rilievi finora eseguiti non hanno permesso di evidenziare l’orlo meridionale della grande caldera.
5. Rilevamento delle fumarole mediante l’ecoscandaglio.
In questa seconda campagna è stato esteso il rilevamento ecografico iniziato nello scorso febbraio (A. Palumbo ed altri, 1970) mediante l’eco¬ scandaglio SIMRAD da 12 KHz da parte della M/n Ulisse Igliori del Com/te A. Scalerà, nell’intento di determinare una carta delle manife¬ stazioni nella parte più interna del Golfo di Pozzuoli, delimitata dalla rotta Faro Nisida-Faro Miseno.
La configurazione estremamente ristretta delle manifestazioni fuma- roliche che talvolta si presentano fuoriuscenti da piccoli isolati f or eliini, ha consigliato di eseguire un reticolo molto più fitto di quello effettuato dalla M/n Dectra per il rilevamento cc S parker ».
La prospezione ecografica è stata ottenuta lungo un reticolo a maglie quadrate di lato pari a 0.1 miglio, realizzato topograficamente servendosi dei capisaldi ben visibili a terra (Tav. 4).
Per ottenere delle registrazioni dalle quali si potesse desumere, in via approssimativa, il grado di attività delle manifestazioni incontrate e l’accertamento delle eventuali modificazioni nel tempo di quelle indivi¬ duate negli scorsi mesi, la M/n Ulisse Igliori ha navigato alla velocità ridotta costante di 5 nodi. Gli allineamenti sono stati predeterminati in modo da ripetere, il più possibile, quelle rotte che, almeno ogni 15 giorni, dallo scorso febbraio ad oggi vengono seguite per il controllo delle varia¬ zioni in intensità e distribuzione delle manifestazioni individuate.
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L’indagine presenta due limitazioni : la prima è costituita dalla pre¬ senza di colture di mitili lungo quasi tutto il litorale e per una estensione di oltre 0.2 miglia dalla linea di costa che ha impedito la navigazione in quella zona. La seconda dipende dalla larghezza delle maglie del reti¬ colo seguito che, per quanto detto prima, risulta ancora troppo ampio per Lindividuazione di tutte le manifestazioni presenti. Infatti, con l’an¬ golo di apertura del fascio sonoro emittente scelto, è stata esplorata una superficie del fondo la cui dimensione normale alla rotta, per le pro¬ fondità relative all’area indagata, è inferiore per un ordine di grandezza rispetto alla dimensione del lato delle maglie del reticolo. L’impiego d’un Dual Side Scan Sonar potrebbe permettere di ovviare a questo incon¬ veniente.
L’errore medio di posizionamento topografico può valutarsi intorno ai 50 m. ed è minore nella parte più interna del Golfo, sia per la mi¬ gliore visibilità dei capisaldi a terra, sia per la presenza e la perma¬ nenza (*) dei numerosi gavitelli posizionati nei punti delle più impor tanti manifestazioni sempre della M/n U. Igliori con l’ausilio dei sommoz¬ zatori del Centro Subacqueo di Baia che generosamente si alternano nelle diverse campagne e che, con prelievi di gas, sedimenti e rilievi termici e fotografici validamente affiancano l’indagine in corso.
Il posizionamento delle più vistose manifestazioni è anche agevolato dall’acquisita conoscenza dell’accidentalità e della configurazione batime- trica continuamente rilevata nel corso delle varie campagne.
Da quanto precede si desume che le manifestazioni individuate, spe¬ cie nella parte più esterna esplorata del golfo, rappresentano soltanto una parte di quelle realmente esistenti.
Quelle più appariscenti, posizionate mediante gavitelli e tralicci, sono caratterizzate dalla costanza nel tempo della posizione e del valore della temperatura del gas nel sedimento ; le altre presentano ubicazione e temperatura più mutevoli.
L’elevato numero delle manifestazioni fumaroliche esistenti, spesso ubicate in corrispondenza delle culminazioni delle zone di alterazione in¬ dividuate dalla prospezione « Sparker » e la configurazione notevolmente fagliata delle strutture investigate costituiscono un indice dell’alta per¬ meabilità delle stesse al passaggio dei gas e del vapore.
( *) IJn particolare ringraziamento è dovuto ai pescatori locali per la com- presnsione da essi mostrata nei riguardi del nostro lavoro.
Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1970
De Bonitatibus A. c Coautori - Rilievi Sii
c. Tav. T
smici per riflessione, ecc
Tav. I — Carta del reticolo sismico effettuato
sistema Sparker.
Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1970
De Bonitatibus A. e Coautori - Rilievi Sismici per riflessione.
r. II
ecc. Tav
Tav. II — Carta delle « zone di alterazione » e delle principali fratturazioni al di sotto della copertura dei sedimenti recenti. Sono indicate anche alcune tra le più
evidenti manifestazioni fumaroliclie rilevate.
i ' >
Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1970
De Bonitatibus A. e Coautori - Rilievi Sismici per riflessione.
J. Tav. IIT
Tav. Ili — Balimetria di dettaglio.
Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1970
I)e Bonit/
US A. e Coautoi'i - Rilievi Sismici per riflessione.
Tav. IV
Campigliene
Tav. IV — Carta delle manifestazioni rilevate dalla M/n Ulisse Igliori.
Boll Soc. Natur. in Napoli, 1970
De Bonitatibus A e Coautori - Rilievi Sismici per riflessione, ecc. Tav. V
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Conclusioni.
Le conclusioni del presente scritto possono considerarsi riassunte ielle Tavole 2 e 4 e nel relativo commento (Gap. 4 e 5).
Ringraziamento.
Particolare riconoscenza è dovuta al Sig. L. Mattiello dell’Istituto di Teorìa e Tecnica delle Onde Elettromagnetiche dell’I.U.N. per il suo intelligente e determinante apporto. Un vivo ringraziamento al Sig. S. Sorrentino dello stesso Istituto, al Comandante della M/n Dectra, cap. P. Amoresano ed all’equipaggio tutto.
Si è grati al Prof. A. Segre (Istituto di Geol. e Geogr. Fis. di Mes¬ sina) ed al Prof. M. Bernabini (Ist. di Geof. Min. di Roma) per l’inte¬ ressamento e gli utili consigli.
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8
Boll. Soc. Natur. in Napoli voi. 79, 1970, pp. 115-118, 2 figg.
Considerazioni sull'effetto della luce nella « Typhlocaris salentina Caroli » della grotta « Zinzulusa » in Castro Marina
Nota del Dott. DOMENICO SCARAMELLA presentata dal socio ARTURO PALOMBI.
(Tornata del 30 Ottobre 1970)
Durante una occasionale permanenza in Castro Marina, deliziosa frazione del comune di Diso, nell’estremo sud della penisola salentina, mi è stato possibile dedicare un pò di attenzione alle grotte della zona e particolarmente alla grotta « Zinzulusa » ed a quella di Porto Badisco. In ambedue queste grotte sono presenti « Tiflocaridi e Speleomisidi » differenziati però dalle dimensioni, nettamente maggiori nei rappresen¬ tanti della grotta di Castro Marina.
Soprattutto la mia attenzione si è fermata sul problema, relativo all’azione della luce sul carideo « Typhlocaris » della « Zinzulusa », oltre ad una breve precisazione sulle dimensioni degli esemplari.
Molti sono stati coloro che hanno studiato la grotta della « Zin¬ zulusa »: dal Monsignor Antonio del Duca (cf. Antonio Lazzari - La Grotta Zinzulusa nella fantasiosa interpretazione di Monsignor Fr. An¬ tonio del Duca ultimo vescovo di Castro - al Monticelli, al De Giorgi, al Botti, ai moderni tra i quali, il già citato Lazzari, il Bottazzi, il De Lorentiis, I’Alzona, I’Anelli, il di Caporiacco, il Dresco, il Lanza, il Lombardini, il Manfredi, il Minieri, il Parenzan, il Pier santi, il Ruffo, lo Sciacchitano, il Tosco, per ricordare solo alcuni degli italiani, e non segnalo gli stranieri, ricordando, a puro titolo di cronaca, che pochi giorni prima del mio arrivo, due francesi (della Sorbona) avevano visitato per scopi scientifici la grotta della « Zinzulusa ».
Il Parenzan, in collaborazione con il De Lorentiis, ebbe modo e mezzi per poter esplorare il « cocito », laghetto che lambisce una pro¬ paggine mediana della grotta, e le zone immediatamente ad esso collegate.
Non avendo avuta la stessa possibilità, riporto il grafico, frutto ap¬ punto dello studio del Parenzan che illustra la topografia generale dello ambiente, nel quale vive il carideo, come è stato appunto disegnato, in
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seguito alle esplorazioni dei « sub » Cosma, Congedo, Sam martino e Ciocca, che è giusto ricordare specie nelle immersioni quando il guano « limizzato » rendeva il lavoro molto vicino all’avventura.
Il merito del Prof. Parenzan, tra gli altri, è appunto quello di aver permesso una individuazione generale della zona.
Dal disegno ( fig. 1) si desume molto chiaramente che solo la
GROTTA 2INZULUSA
Fig. 1. —
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Parte sommersa della grotta « Zinzulusa » con evidente la zona del « eccito ».
piccola parte terminale del « Cocito » è offerta alla vista del visitatore, mentre il resto dell’incavo è sommerso per la quasi totalità e diviso in due grossi invasi.
La Typhlocaris, secondo il Caroli e secondo le altre descrizioni è un « carideo cieco, della famiglia Palaemonidae che raggiunge i 62 mm. dalla punta del rostro all’estremità del telson ». Il carideo si presenta bianco puro sulle appendici ; bianco appena sfumato di oliva- ceo e con le medesime tonalità di colore, ma più marcate, nella zona ce¬ falotoracica. Il crostaceo è provvisto di chele quasi diritte che ben si osservano nella fotografia ( fig. 2).
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È inutile dilungarsi nella descrizione particolare del carideo in quanto già largamente ed attentamente effettuata dal Caroli, dal Ruffo, dal Lazzari e da tanti altri. È importante invece rilevare che le dimen¬ sioni riportate dai vari autori non coincidono con i due esemplari da me catturati nella grotta della « Zinzulusa ». Il più grosso, donato
Fig. 2. — Un esemplare di Typhlocaris in atto di avvicinarsi al margine del « cocito » attratto dal fascio luminoso che non appare perchè annullato dal lampo del « flasch ».
all’Istituto di Zoologia della Facoltà di Agraria in Portici, dell’Univer- sità di Napoli, ha dimensioni « rostro-telson » vicine ai 92 mm. L’esem¬ plare invece che è stato mostrato nella riunione della Società dei Natu¬ ralisti in Napoli, ancora in mio possesso, è vicino ai massimi segnalati dal Caroli.
Più importante ancora, a mio avviso, è la considerazione che il cari¬ deo reagisce alla luce e, pertanto, non sarebbe cieco come fino ad oggi è stato segnalato e creduto.
I fatti rilevati sono i seguenti : la illuminazione artificiale della grotta della « Zinzulusa » non interessa il « Cocito », per raggiungere il quale è necessario essere provvisti di opportuna sorgente luminosa (generalmente delle lampade a gas). Questa particolare illuminazione
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permette la vista completa del laghetto, e degli eventuali caridei ivi presenti, che non risentono minimamente della luce e continuano indif¬ ferenti i loro spostamenti. Se invece gli operatori sono provvisti di una lampada a fascio molto sottile, tale da segnalare alla distanza di circa un metro un disco del diametro